Giustizia

E due. Il Tribunale di appello ha confermato la sentenza del primo giudice, il pretore Francesco Trezzini, nella quale Adecco è stata condannata a pagare la differenza salariale tra l’importo allegato alla richiesta di permesso e quello realmente versato. Una sentenza importante perché destinata a far giurisprudenza, aprendo nuovi scenari nella lotta al dumping. Prosegue intanto l’indagine della Procura sull’ipotesi di falsità in documenti contro Adecco, avviata sei mesi or sono.

 

Riepilogo, doveroso, dei fatti. La filiale luganese di Adecco, azienda leader del lavoro temporaneo, inviava qualche anno fa agli uffici cantonali preposti al rilascio dei permessi di lavoro dei contratti di lavoro controfirmati dai dipendenti in cui figurava una paga oraria vicina ai 20 franchi. Una paga fittizia, nel senso che Adecco versava degli importi inferiori a quanto indicato alle autorità competenti.

 

Gli operai, difesi dall’avvocato Riccardo Schumacher su mandato di Unia, hanno ottenuto il risarcimento della differenza, circa 10mila franchi a testa, nella prima decisione emessa lo scorso maggio dal Pretore Francesco Trezzini. In un caso, Adecco ha inoltrato ricorso, sul quale si è espresso il Tribunale di Appello il 29 gennaio, confermando la decisione del primo giudice.  

 

Ma la notizia importante è che la sentenza d’Appello contiene elementi d’interesse generale per il mercato del lavoro cantonale e federale, destinata a far giurisprudenza. E destare scalpore.

 

Nella primo giudizio, il Pretore Trezzini aveva stabilito che nel caso specifico andava applicato l'articolo 22 della Legge sugli stranieri. Questa norma prevede che le autorità elvetiche possono concedere il permesso di attività lucrativa «unicamente se sono osservate le condizioni di lavoro e salario usuali nella località, professione e nel settore».

Di conseguenza, la paga indicata nella domanda di permesso inoltrata da Adecco di 17,15 franchi l'ora, era corrispondente al salario d'uso corretto, come poi appurato dallo stesso giudice con altri accertamenti.

Adecco invece versava al dipendente 13.15 franchi l'ora. E quindi era obbligata ha versare la differenza.

 

La sentenza d'Appello conferma la decisione del pretore e specifica che l'articolo 22 della LStr è «di carattere imperativo» e «vincola in primo luogo l’autorità amministrativa». Detto in altre parole, l’autorità cantonale non può concedere permessi di lavoro con paghe inferiori a quelle usuali.

Ancor più chiaro, lo strumento ideale per le autorità per vietare il dumping salariale.

 

Una sentenza che stravolge completamente la prassi (e la giustificazione) addotta dalle autorità cantonali e federali di non poter impedire dei salari indegni in assenza di contratti collettivi obbligatori. Cioè, i due terzi dei salariati di questo paese.

 

Questo perché gli accordi bilaterali, e in particolare quelli sulla libera circolazione delle persone, non lo consentono. Ed essendo gli accordi bilaterali una sorta di diritto superiore, il citato articolo 22 sarebbe inapplicabile. Questa è sempre stata la versione ufficiale delle autorità. Invece la sentenza del Tribunale d’appello definisce il principio del «Paritätslohn» tuttora valido. E dunque, non è necessario che lo stipendio sia obbligatorio perché contenuto in un Ccl, ma è sufficiente l’importo definito dallo stipendio d’uso.

Una sentenza che farà discutere, aprendo nuovi scenari di lotta al dumping.

 

Chiudiamo riepilogando brevemente il caso specifico. Come detto, il permesso di lavoro dell’interinale era stato autorizzato dall’Ufficio regionale degli stranieri nel 2006 per un contratto a tempo pieno a durata indeterminata per 45 ore settimanali a 17,15 franchi l’ora. Adecco fece firmare all’interinale altri tre contratti nel corso dell’anno con stipendi di 13,50 franchi all’ora. Il primo contratto fu fatto firmare lo stesso giorno di quello inviato all’autorità cantonale con la paga superiore. Il rapporto di lavoro tra Adecco e l’interinale durò due anni, e si concluse nel 2008.

 

A nulla è servita la strategia di Adecco di far firmare all’interinale successivi contratti con paga inferiore a quella dichiarata alle autorità. Scrive infatti il Tribunale di appello: «La libertà contrattuale tra privati sul salario è limitata, perché non è possibile derogarvi a svantaggio del lavoratore con accordi successivi» inferiori a quelli autorizzati dall’autorità amministrativa competente.

 

Pubblicato il 

18.03.15