Il momento tanto atteso è finalmente arrivato. Domani sera Francesco Guccini tornerà in Ticino dopo cinque anni: sarà in concerto al Palasport di Bellinzona a partire dalle 21. Il ricavato dell'evento, organizzato da area e dal quindicinale Il Diavolo, sarà devoluto all'Associazione per l'aiuto medico al Centro America (Amca) e all'Associazione Svizzera-Cuba a sostegno di progetti sanitari a Cuba. area ha fatto con lui una chiacchierata telefonica mentre se ne stava nella sua casa di Pavana ad accarezzare la gatta Paurina: «da paura», dice, «perché sta sempre in casa, deve aver subito un trauma e continua a chiedermi coccole».

Francesco Guccini, nel suo concerto di Bellinzona lei proporrà domani sera anche "Su in collina", una sua canzone nuova sulla Resistenza. Perché ha deciso di affrontare questo tema ad oltre 60 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale?

Con Loriano Macchiavelli avevo pubblicato il mio ultimo giallo, "Tango e gli altri", che parla appunto di un episodio ambientato durante la Resistenza. È un libro che abbiamo fatto un po' in polemica con un certo revisionismo che in Italia sta prendendo piede da qualche tempo. Documentandoci abbiamo trovato un libro di poesie scritte in dialetto modenese, e una di queste poesie narra dell'episodio che poi io in italiano ho trasposto nella canzone.
Definirebbe i suoi concerti come degli atti politici, o è una definizione che le dà fastidio? Quando canta ad esempio "La locomotiva" c'è un forte sentimento di comune appartenenza politica nel pubblico.
Certo, anche perché "La locomotiva" è una canzone molto significante in questo senso. Non li definirei però atti politici in senso stretto i miei concerti, non sono comizi, anche se qualcosa c'è, per cui non è nemmeno una definizione che mi dà fastidio. Tutti sanno da che parte sto, anche perché ogni tanto mi scappa qualche battuta. In Ticino forse sarà un po' più difficile, perché la situazione politica è diversa e non la conosco: parlerò un po' della situazione italiana senza esagerare con discorsi che forse interessano il giusto.
Forse però Guccini nella realtà è più moderato di quanto comunemente non si creda.
Io sono un montanaro, e i montanari sono sempre cauti e guardinghi, non sono mai entusiasti di primo acchito. Però la mia posizione è molto ben definita.
Lei qualche tempo fa a proposito di Prodi ha detto che «piuttosto che niente, meglio il piuttosto». Perché?
Perché l'alternativa sono non soltanto Berlusconi, che proprio non mi piace, ma anche Fini, D'Onofrio, Casini, Tremonti, Gasparri. Meglio tenerci buoni quelli che abbiamo adesso piuttosto che cambiare senza sapere dove si andrà a finire. Purtroppo le cose stanno andando malino, ma la mia opinione non è cambiata, piuttosto che niente, molto meglio il piuttosto. Che comunque è molto più di niente.
È rassegnato al piuttosto, come ad una condanna?
No. Certo le lamentazioni della gente non finiscono mai. Ma bisogna anche considerare quante sono le contraddizioni in questo governo. Ed è da quando è in carica che la destra ne predice la caduta per il giorno dopo: eppure sta sempre lì. La gente si sfiducia rapidamente, ma la mia non è rassegnazione. O meglio, è rassegnazione perché le cose non vanno come vorrei.
E lei nel Partito democratico qualche speranza ce la ripone?
Saperlo… Il problema è che la sinistra è fatta per dividersi. Perfino l'Unione, guardi com'è divisa.
Nel mercato discografico di oggi un Guccini che arrivasse col suo primo disco sottobraccio troverebbe uno spazio?
No, o con moltissima difficoltà. Il panorama della discografia come c'era una volta non esiste quasi più. Sarei accolto… ma accolto da chi? Non ci sono più discografici. L'unica strada sarebbe di passare per Sanremo, che conta poco e comunque non lo vorrei fare. Per cui avrei scarsissime possibilità oggi.
Questo è un mestiere che fa sempre volentieri?
Certo, perché mi lascia tutto il tempo libero che voglio, non devo timbrare nessun cartellino. Mi permette di abitare dove mi pare senza dover avere dei posti fissi dove andare.
E la tournée non diventa un peso?
Faccio un concerto alla settimana, non è che mi ammazzi di lavoro… È bello invece andare in giro, sono contento di tornare a Bellinzona.
Lei in Ticino è sempre molto atteso.
Sì, perché il pubblico ama le canzoni per il testo, e in questo senso è molto italiano. Ho suonato anche nella Svizzera tedesca e francese, ma con evidenti cali di pubblico. Anche se con una partecipazione calorosa da parte credo degli immigrati italiani. In fondo basta capire le parole delle canzoni o le sciocchezze che dico fra una e l'altra. Ho fatto anche dei concerti in Germania e Austria, e mi divertiva dopo ogni battuta dover aspettare che metà del pubblico la traducesse al vicino. Diciamo che si perdeva un po' di immediatezza. Ma per i miei concerti la comprensione delle canzoni è fondamentale. Non posso avere il fascino della musica se non aiutato dalle parole.
Lei definisce sciocchezze ciò che dice fra una canzone e l'altra. Però il suo pubblico viene anche per sentire le sue sciocchezze.
Sì, e non sono poi sempre sciocchezze. Io sul palco non so stare zitto, le canzoni le racconto, dico aneddoti. Chi sta zitto sul palco mi lascia un po' perplesso. Bisogna parlare, far vedere chi si è, non si può far dipendere tutto da una canzone.
Lei ora ha 67 anni...
Purtroppo.
... che rapporto ha con la vecchiaia?
Normale, si rimpiangono certe cose mentre altre sono più accettate. Non la sento particolarmente. Il mio mestiere indubbiamente aiuta. Infatti mi dicono sempre che non li dimostro.
E al suo concerto ci saranno anche dei nonni con i loro nipotini.
Sì, è un fenomeno curioso. Anni fa ho visto in televisione un concerto rock in Inghilterra con nonno, padre e figlio uno in fila all'altro, tutti e tre vestiti allo stesso modo da perfetti rockettari. Mi piace pensare che ho ai concerti nonni, padri e figli vestiti magari in maniera diversa, ma tutti e tre legati dalla stessa canzone. Vuol dire che forse non ho scritto delle gran sciocchezze…
Sente una responsabilità rispetto a quel che scrive, pensando ai ragazzi che poi le sue canzoni le impareranno a memoria e le canteranno?
No. Faccio al meglio il mio mestiere, poi quel che deve succedere succede. Non posso essere legato a delle responsabilità di questo tipo. Scrivendo non posso chiedermi continuamente che effetto avranno le mie parole. Posso solo scrivere quel che mi passa per la testa in quel momento, senza nessun'altra preoccupazione.
Come è cambiata la percezione dei giovani di oggi di certe sue canzoni ormai mitiche?
Tutto sommato in meglio. Riscontro più attenzione. Forse perché oggi le si ascolta per quello che sono e non per quello che gli si voleva far dire trenta o quaranta anni fa.
Le pesava negli anni '70 essere diventato quasi una bandiera del movimento?
Questo era vero forse verso la metà degli anni '70, perché prima non è che fossi poi così conosciuto. Prima erano più conosciuti i gruppi che facevano le mie canzoni. Oggi la notorietà non mi pesa. Noto molto affetto, e non ammirazione divistica. Ed è piacevole.
Ciò le mette voglia di fare questo mestiere ancora a lungo?
Voglia sì, ma bisogna vedere se ci sarà la possibilità, se di canzoni ne vengono ancora…
Però sta preparando un disco.
Sto preparandolo… Quando le canzoni verranno lo farò. Non è che mi metta lì a tavolino a scrivere, non ho nessun contratto che mi ci obbliga. Per ora di canzoni ne ho tre, e son pochine: ce ne vogliono di più.

Pubblicato il 

19.10.07

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