Scrive Lutero: «La disobbedienza è un peccato più grave dell’omicidio, della lussuria, del furto e della disonestà». Gli corrisponde, sul versante cattolico, Leone XIII: «L’unione degli animi esige una perfetta concordia in una stessa fede, così pure domanda che le volontà siano soggette, ubbidienti alla Chiesa e al romano Pontefice, non altrimenti che a Dio».


Religione e integrale obbedienza, anche nelle radici della cultura europea – ahinoi – hanno formato uno stretto binomio. Non a caso Mussolini nel 1925 andava proclamando che «il fascismo non è ateo, è un esercito di credenti», dando per scontato che il credente sia un ubbidiente, si comporti adeguandosi e sottomettendo la sua volontà all’autorità. Disporre di un esercito di credenti interessa a ogni totalitarismo, in quanto esercito di soggetti essenzialmente e quasi ontologicamente in soggezione, assuefatti alla sottomissione del loro io - psicologicamente certo anche compensatrice - al quadro dogmatico nel quale vengono immersi sin dalla nascita.
Scrive Eric Hoffer nel suo celebre studio sul fanatismo di massa: «La resa totale di un io distinto e separato è una precondizione necessaria a ottenere unità e spirito di sacrificio, e non vi è forse modo più diretto di arrivare a questa resa che inculcare ed esaltare l’abitutidine all’obbedienza cieca (...). Il vero credente, per sregolati e violenti che siano i suoi atti, è un soggetto fondametalmente obbediente e remissivo: i cristiani convertiti che razziavano l’università di Alessandria e linciavano i professori sospettati di eterodossia, erano membri di una chiesa compatta».


La selezione nelle istituzioni di produzione del sapere è stata spesso orientata alla difesa e produzione dell’ortodossia, anche in anni molto più vicini a noi rispetto a quelli delle crociate, adottando mezzi anche non necessariamente cruenti. L’alternativa fra la sottomissione fideistica-conformistica e l’allontanamento dalla cattedra anche nella storia europea recente è ben nota. Significativamente, fu subito dopo aver pubblicato il suo Apologia dell’ateismo, che il filosofo italo-ticinese Giuseppe Rensi fu messo al bando, privato della cattedra all’Università di Genova dall’allora ministro dell’educazione nazionale fascista. Di ateismo, evidentemente, non si poteva far parola in un sistema educativo teso a produrre obbedienza e a occupare ogni spazio e ogni coscienza con la sua religione di Stato.

 

Di un’analoga occupazione politico-religiosa si tratta in un romanzo oggi al centro dell’attenzione, quel Sottomissione di Michel Houellebecq che a ben vedere mentre parla di uno scenario distopico, legato alla ipotesi fantapolitica di una islamizzazione integralista della Francia, parla anche, se non soprattutto, di un conformismo e di una resa dell’io che appartiene sicuramente al nostro vicino passato e che non si è spezzata nel nostro presente, sedotta e sedata dai consumi. L’islamizzazione totalitaria e opulenta è solo un ingrediente del romanzo, certo oggi il più eclatante e politicamente scioccante, se non anche strumentalizzabile, ma nella parabola del protagonista, un professore universitario di letteraura, che finisce con il convertirsi opportunisticamente al credo trionfante, ubbidendo alle offerte di assurdi privilegi fattagli dal nuovo rettore e ministro della cultura, occorre leggere anche e forse sopratutto una radiografia della nostra eredità e della nostra condizione, non priva di sottomessa continuità. Qualche antidoto, minoritario, è pur stato prodotto. Poco incline alla sottomissione, il “nostro” Rensi, messo al bando, continuò a esprimersi così: «L’ateismo è una posizione di liberazione della mente dalle incrostazioni veritistiche insinuatevi. Esso è altresì essenzialmente libertà di coscienza, il suo fermento più potente e completo». Ma chi ricorda più la sua Apologia dell’ateismo?

Pubblicato il 

12.02.15
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