Parità

Qualcuno è allergico alla mimosa, pure fra le donne c’è chi ritiene fastidioso quel ramoscello giallo che l’8 marzo viene fatto sventolare quasi fosse un prosieguo di San Valentino. In realtà dietro al simulacro floreale, che così banalizzato può risultare stucchevole, c’è un compleanno collettivo per ricordare che le donne hanno dei diritti: i doveri sono loro infatti sottolineati ogni benedetto giorno.


C’è bisogno nel 2017 della mimosa? Forse del fiore in quanto tale no, ma di continuare a fare dell’8 marzo un appuntamento politico sì: purtroppo è ancora necessario come hanno mostrato al mondo le donne, cui si sono uniti molti uomini, che a Washington, nella “great America”, sono scese in strada per gridare in faccia al loro presidente Donald Trump che «i diritti delle donne sono diritti umani». Evidentemente se mezzo milione di persone era in piazza, a meno che non si tratti tutti di invasati, qualcosa, più di un semplice dettaglio, manca ancora per il rispetto dei diritti delle donne. Allora, forse sì, la mimosa è ormai anacronistica ma solo nella forma, non nella sostanza, mentre è stata rimpiazzata dai “pussyhat”, i cappellini rosa nati da un’idea di due amiche californiane e diventati simbolo della protesta. Anche in Svizzera ci si unirà, con altri 30 paesi al mondo, alla protesta globale per i diritti non ancora raggiunti e reclamati delle donne. A Zurigo, sull’onda della marcia rosa, si sfilerà il 18 marzo in un’azione cui partecipa anche Unia, che aderisce al movimento delle donne internazionali con un’azione, cui sono invitati tutti, per reclamare parità salariale, pensioni dignitose ed equilibrio tra lavoro e vita privata.


Ma il tradizionale 8 marzo non sarà dimenticato, con iniziative che raccoglieranno le donne di Unia delle varie regioni (Ticino compreso, vedi box) ed è pure sottolineato dal sostegno del sindacato alla campagna “Non possiamo tacere” in solidarietà al movimento femminista mondiale (“We can’t keep quiet”).
La campagna segnala sei priorità di azione politica: la fine del sessismo e delle violenze sessuali; la sicurezza sociale ed economica per tutte le donne; stipendi decenti ed equi; gratuità delle strutture d’accoglienza extrafamigliari, estensione dei congedi parentali pagati, riduzione del tempo di lavoro; no alle minacce sui diritti delle donne ad autodeterminarsi nelle questioni che riguardano la procreazione; e la promozione di un dibattito all’interno della società sui compiti di cura.


Fra le rivendicazioni, che Unia ha sposato da tempo, segnaliamo quella che pone al centro la questione degli stipendi. Lo si sente ripetere spesso «stesso salario per lo stesso lavoro». Bene, preparatevi a sentirlo ancora, anche fino allo sfinimento, o almeno finché questo principio fondamentale, ancorato da ben 35 anni nella Costituzione federale, non sarà normalità come dovrebbe essere. La realtà è ancora scandalosamente un’altra: per lo stesso lavoro le donne guadagnano ogni mese 677 franchi in meno rispetto ai loro colleghi uomini. Non è solo questo punto a interessare il sindacato, ma anche il riconoscimento all’interno delle assicurazioni sociali di quella mole incalcolabile di lavoro femminile non remunerato. Il rischio è di trovarci con eserciti di donne, che dopo avere sudato tutta la vita, al momento dell’età del pensionamento avranno un’entrata insufficiente e inadeguata a quanto dato alla società nel corso della loro vita. In questo senso prioritaria è anche l’equiparazione giuridica del lavoro a tempo parziale e del lavoro a tempo pieno.
E ancora. I diritti delle donne passano anche dai modelli scolastici che devono essere adeguati (scuole diurne e tempo prolungato) ai ritmi di lavoro delle madri, mentre vanno garantite strutture di custodia extrafamigliare per tutti i bambini a prezzi accessibili. Occorre inoltre estendere l’offerta di istituti di assistenza, strutture diurne e servizi di assistenza a domicilio per le persone anziane e bisognose di cure perché altrimenti tutto continuerà a ricadere sulle spalle delle donne obbligate a inventarsi  i salti mortali per riuscire a far fronte a tutti gli impegni.


Sì, perché per Unia «la conciliazione della vita familiare e professionale è la chiave dell’effettiva parità tra uomo e donna».


Oggi è scontato che le donne siano professionalmente attive, le realtà sociali hanno subito un’evoluzione, ma l’organizzazione è rimasta indietro ai tempi che furono. È questo che ci vogliono dire le mimose o i “pussyhat” per chi non se ne fosse accorto. Le donne continuano tuttavia a farsi carico della maggior parte del lavoro non retribuito e le regole del mercato del lavoro non tengono conto di questa condizione femminile. Spesso le donne devono occuparsi dei figli e assistere familiari anziani o malati e questi compiti mal si conciliano con i requisiti posti dal mondo professionale. Numerose donne si trovano quindi ad affrontare un enorme carico e quantità industriali di stress. Conciliare tutti gli impegni è impossibile! Per Unia «la colpa non è delle singole donne, ma del mancato riconoscimento sociale delle attività non retribuite».


Una campagna come “Non possiamo tacere” affermerà con vigore questi principi affinché la situazione si smuova e si possa passare dall’antichità alla contemporaneità.


E dopo la giornata internazionale della donna, non riponete i “pussyhat” a prendere polvere nel cassetto, ma teneteli pronti per sabato 18 marzo quando a Zurigo si terrà la Women’s March. Una marcia che come si legge sul sito svizzero del movimento (www.cantkeepquiet.ch) è una forma di «solidarietà con gli scioperi femminili internazionali. Noi non accettiamo né il trumpismo, né lo spostamento verso destra che sta avvenendo attualmente in Europa. Le politiche reazionarie mettono in pericolo i diritti e i bisogni delle donne».

Pubblicato il 

22.02.17
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