La mobilitazione

La pensione a 60 anni è un diritto irrinunciabile per i lavoratori dell’edilizia. Lo hanno detto in modo forte e chiaro gli oltre 18.000 che sabato scorso hanno dato vita per le vie di Zurigo a un’imponente manifestazione, indetta dai sindacati per respingere gli attacchi e le provocazioni della Società svizzera degli impresari costruttori (Ssic), la quale vorrebbe innalzare l’età pensionabile a 62 anni e ridurre le rendite, nonché smantellare il Contratto nazionale mantello (Cnm) che giunge a scadenza a fine anno. Cioè l’esatto contrario di ciò che avrebbe bisogno chi fa questo mestiere, tra i più duri e i più pericolosi. Di qui la rabbia e l’indignazione dei lavoratori, stufi di vedere la loro dignità calpestata da un padronato che chiede sempre di più e nel contempo vorrebbe cancellare diritti e garanzie.

 

C’è grande determinazione, come testimonia quel 91,3 per cento di edili che, nell’ambito di un sondaggio svolto da Unia sui cantieri e che ha coinvolto 20.000 persone, si è espresso per il ricorso allo sciopero nel caso in cui la Ssic dovesse continuare a rifiutarsi di cercare soluzioni accettabili.
“Giù le mani dalle nostre pensioni” e “i contratti si migliorano, non si smantellano”: sono le parole d’ordine che hanno accompagnato il colorato e rumoroso corteo, una marea rossa che per un pomeriggio ha “invaso” il centro di Zurigo. Partito nei pressi della stazione centrale, esso ha toccato anche la Bahnhofstrasse, la celebre via del lusso (ma senza entrare nella Paradeplatz, il cuore della finanza e delle banche, il cui accesso era presidiato dalla polizia) ed ha raggiunto la Helvetiaplatz (nel quartiere popolare della città) come vuole la tradizione delle manifestazioni operaie. Questa è stata «la più imponente manifestazione di edili che Zurigo abbia mai visto», ha sottolineato Nico Lutz, responsabile del settore per il sindacato Unia, rallegrandosi di un successo che va ben al di là di ogni più rosea aspettativa.

 

Elevati rischi per la salute
Del resto, la posta in gioco è alta, perché il pensionamento a 60 anni è una delle più importanti conquiste del movimento sindacale degli ultimi decenni, paragonabile all’introduzione, nel 1944, nella prima settimana di vacanza nel contratto mantello (quando i padroni sostenevano che non ve n’era il bisogno “perché gli edili già lavorano all’aria aperta”…), della settimana lavorativa di 5 giorni nel 1962 e della tredicesima mensilità nel 1973. Una conquista ottenuta nel 2002 dopo dieci anni di lotte dure e coraggiose e che non può certo essere rimessa oggi in discussione. In nessun caso, hanno ripetuto gli oltre 18.000 che quotidianamente sudano e si spaccano la schiena per costruire case, palazzi, strade, ponti e gallerie. Andare in pensione a 60 anni non è un lusso ma una necessità perché chi lavora sui cantieri arriva a quell’età fisicamente distrutto: «Ho 57 anni, 40 dei quali trascorsi come operaio edile e non ne posso più. Sono pieno di dolori e conto sul calendario i giorni che mi restano fino alla pensione», ci racconta un lavoratore venuto a Zurigo dal Ticino con un treno speciale insieme a quasi un migliaio di colleghi.


È del resto incontestabile che il lavoro sui cantieri non è sano e che, nonostante i progressi compiuti sul fronte della sicurezza, continua a comportare elevati rischi per la salute. Sia per quanto riguarda le malattie (in particolare del sistema muscolo-scheletrico ma anche di quello respiratorio a causa del continuo contatto con la polvere) sia per quanto riguarda il rischio di infortunio (anche mortale), che aumenta costantemente con l’avanzare dell’età. I dati parlano chiaro: prima dell’introduzione della pensione a 60 anni, solo il 20 per cento dei lavoratori raggiungeva l’età della pensione in buona salute. Gli altri vi arrivavano invalidi, morivano, venivano licenziati o lasciavano il settore, spesso volontariamente, per sfinimento. Il modello attuale consente loro di ritirarsi dignitosamente dal lavoro e dunque «chi attacca la pensione a 60 anni, attacca la dignità dei lavoratori edili», ha sintetizzato Nico Lutz dal palco di una Helvetiaplatz gremita.

 

Un problema temporaneo
L’associazione degli impresari costruttori vuole ora fare tabula rasa di questo diritto approfittando di alcuni problemi di finanziamento legati al pensionamento della generazione del baby-boom, che fino al 2024 produrrà un aumento dei beneficiari. Si tratta dunque di un problema limitato nel tempo, assolutamente risolvibile con misure quasi indolori: per esempio con un aumento temporaneo dei contributi di datori di lavoro e lavoratori, come suggeriscono i sindacati. La Ssic, rifiutandosi di sedersi al tavolo delle trattative per la ricerca di una soluzione condivisa, punta invece a innalzare l’età pensionabile a 62 anni o a ridurre le pensioni del 30 per cento, portandole a una media di circa 3300 franchi al mese. Una prospettiva del tutto inaccettabile, perché nessuno potrebbe più permettersi di andare in pensione a 60 anni e ci troveremmo di fronte a una soppressione de facto della pensione a 60 anni.


Ma gli attacchi del padronato non si fermano qui. La Ssic pretende di indebolire il Cnm, fiore all’occhiello dei contratti collettivi in Svizzera: per i lavoratori anziani i salari dovrebbero poter essere ridotti al di sotto dei minimi attuali e i termini di disdetta del rapporto di lavoro abbreviati; per tutti andrebbe invece ulteriormente estesa la flessibilità, con aumenti della durata della settimana lavorativa fino a 50 ore (senza considerare le ore straordinarie e il tempo di viaggio) e la possibilità di esigere fino a 200 ore supplementari all’anno e abbandonare la pratica degli aumenti salariali generalizzati.

 

Meno lavoro, migliori salari
Per i lavoratori edili, invece, c’è bisogno dell’esatto contrario: limitazione delle giornate di lavoro e dell’orario giornaliero (in particolare in estate), contenimento del lavoro temporaneo, che negli ultimi anni ha subito una vera e propria esplosione: tra il 2015 e il 2016 la parte di lavoro temporaneo nell’edilizia è cresciuta del 15% e addirittura del 20 se si considerano i lavoratori ultracinquantenni. Succede così che un numero sempre crescente di lavoratori di questa categoria di età venga licenziato e sia costretto ad accettare condizioni d’impiego assai precarie. Servono dunque più misure di protezione dei lavoratori anziani. Altro che smantellare il Cnm! Ma s’impone anche, dall’anno prossimo, un innalzamento decente dei salari di almeno 150 franchi al mese, dopo quattro anni senza aumenti nonostante una congiuntura fiorente per il settore dell’edilizia, la cui cifra d’affari è progredita del 30 per cento in dieci anni.


Non sorprende allora che le provocazioni della Ssic mandino su tutte le furie i lavoratori e che la loro risposta sia tanto ferma, determinata e unitaria come quella di sabato scorso a Zurigo. Una risposta che sembra non lasciare indifferente nemmeno il presidente degli impresari costruttori Gian Luca Lardi, il quale in un’intervista alla Sonntagszeitung sveste i panni del provocatore e, pur affermando di «non capire» le minacce di sciopero, si dice «fiducioso che nei prossimi mesi si riesca a trovare una soluzione ragionevole».

Pubblicato il 

27.06.18
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