La storia

Lasciare il Ticino per motivi economici. Tra costi che crescono, paghe stagnanti e tagli alla socialità, sempre più persone faticano ad arrivare a fine mese. Loro malgrado, l’unica soluzione diventa andare a vivere oltre confine, diventando dei frontalieri. Le motivazioni della difficile scelta di Lisa, suo marito e i loro due figli per capire un fenomeno emergente in Ticino.

 

Un misto di amarezza, di rabbia ma anche di serenità per la scelta fatta. È lo stato d’animo di Lisa, sposata e giovane madre di due figli in tenera età. L’amarezza deriva dall’essere costretta a lasciare il suo paese per motivi economici. La sua famiglia si trasferirà presto in Italia, alla ricerca di una serenità economica normale. Il perché è presto detto. Il reddito familiare derivante dalla paga “normale” di operaio del marito (3.800 franchi mensili) basta appena ad arrivare alla fine del mese. Di risparmi neanche parlarne. Se poi capita una spesa improvvisa, sono mesi di sacrifici per recuperare il buco finanziario.


Attualmente mamma a tempo pieno, Lisa di formazione è sarta. Per l’ultima offerta di lavoro ricevuta nel suo campo, le avevano proposto un salario di 2.200 lordi mensili, per un impiego a tempo pieno. Avrebbe dovuto lavorare anche al sabato, con due mezze giornate libere in settimana quale compensazione. Per sistemare i figli di due e quattro anni, avrebbe dovuto ricorrere a servizi a pagamento, bruciando così quella misera paga col risultato di star tanto tempo lontana dai figli e marito. Un pessimo “affare” rifiutato.


Con lo stipendio del marito oggi coprono l’affitto di 1.400 franchi (in un appartamento di palazzi popolari sussidiati dal cantone) e tutte le spese correnti. Ogni centesimo è contato. Quando il mese scorso il marito le ha telefonato per dirle di aver avuto un incidente con l’auto, la sua prima reazione è stata di arrabbiarsi con lui per le spese improvvise che avrebbero dovuto sostenere. Solo dopo, a mente fredda, si è arrabbiata con se stessa per non avergli nemmeno chiesto se si fosse fatto male. «L’assillo economico ha avuto la priorità sullo stato di salute di mio marito. I soldi non danno la felicità, ma non averli ti toglie l’umanità» dice Lisa. «Ora basta, vogliamo essere delle persone diverse e cercare una vita normale, serena. Per questo ci trasferiamo in Italia, appena fuori dal confine. Mio marito continuerà a lavorare nel posto attuale, ma solo di affitto o mutuo pagheremo la metà di quello attuale. Senza parlare delle rimanenti spese correnti svizzere, vedi assicurazione malattia e bollette varie mensili che caleranno drasticamente».


Insomma, faranno i frontalieri. Con il potere d’acquisto maggiorato, potranno risparmiare qualcosa per le necessità dei figli che cresceranno o far fronte a spese impreviste senza fare salti mortali. Una vita normale, non certo da nababbi. «Non andremo in vacanza alle Maldive» ride Lisa.


Dopo averci pensato per un anno, valutando vantaggi e svantaggi, sono arrivati alla conclusione che sia la soluzione giusta per vivere degnamente. Non per questo meno sofferta. E con una certa dose di rabbia per essere stata costretta a lasciare il suo paese. «La nostra condizione non ha nulla a che vedere con la povertà che si vive in certi paesi. Ne sono ben cosciente. Ciò non toglie che non possiamo continuare a vivere con l’acqua alla gola, con la paura di affogare al minimo imprevisto o di non poterci mai concedere cose banali come una pizza al ristorante o un cinema in famiglia». Una situazione comune a molti in Ticino, tra costi fissi in costante aumento mentre i salari stagnano se non scendono nel disastrato mondo del lavoro cantonale. Sarebbero in diversi ad aver fatto, o stanno pensando di fare, il medesimo passo della famiglia di Lisa. Esiste pure una pagina Facebook che dà consigli “Ticinesi in Italia”.


«In Ticino, i politici scaricano la colpa sui frontalieri per nascondere la loro incapacità di risolvere i problemi della classe medio-bassa. “Prima i nostri” è stato un contentino dato in pasto al popolo, ben sapendo che non si potrà applicare. Serve solo ad alimentare una guerra dei poveri senza senso e senza prospettive d’uscita».
Area aveva intervistato Lisa quando insieme con altri genitori aveva organizzato una petizione e una manifestazione a Bellinzona contro i tagli agli assegni integrativi e di prima infanzia. Lisa non era direttamente toccata dai tagli, ma da cittadina s’indignò per i risparmi fatti sulla pelle delle famiglie meno abbienti e per l’attacco alla politica familiare cantonale. Rimasero inascoltati. Governo e Gran Consiglio tirarono dritto, tant’è che l’anno successivo riproposero nuovi tagli alla politica familiare che quella volta avrebbero colpito anche la famiglia di Lisa. Tagli poi approvati in votazione lo scorso febbraio, quando fu bocciato di misura il referendum contrario promosso da partiti di sinistra e sindacati. «Tagliano a chi mettendo al mondo un bambino s’impoverisce, ma si guardano bene dal chiedere qualcosa a chi sta diventando sempre più ricco».


Oltre che combattiva, Lisa è una donna coraggiosa. La sua storia è uscita sul portale Ticinonline, con tanto di nome e cognome. «Sarei potuta restare anonima, ma volevo metterci la faccia». Le reazioni non si sono fatte attendere. Ha ricevuto molta comprensione per una scelta obbligata, ma in tanti si sono accaniti contro di lei solo per il suo cognome d’origine italiana, peraltro del marito. «Invece di comprendere le ragioni del contesto economico che mi costringono a lasciare il mio paese, giudicano la storia solo in termini di nazionalità. Senza conoscere il mio vissuto, mi hanno crocefissa perché sarei solo una straniera senza diritto di critica su dove sta andando questo paese».

Pubblicato il 

24.05.17
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