Il neo-responsabile del Dipartimento federale delle finanze per merito di partito, Ueli Maurer, difende in una intervista a un quotidiano le società offshore (quelle che servono a nascondersi dal fisco nei paradisi fiscali) e la loro utilizzazione per ragioni fiscali (quella che con ipocrisia si chiama “ottimizzazione fiscale”). Aggiunge, dando prova di tutta la sua perspicacia e coerenza con il mestiere che fa: “Non sono ricco e pago meno imposte perché persone più ricche di me lo fanno”.

 

A nessun cittadino di buon senso e appena informato sfuggono alcune cose. Se ci sono contribuenti imponibili in Svizzera che ricorrono ai paradisi fiscali (o alle società schermo offshore) è per evitare di pagare delle imposte. Se i ricchi e straricchi svizzeri vanno nei paradisi fiscali per non pagare le imposte a casa loro, vuol dire – come matematica comanda – che chi rimane pagherà più imposte e non meno imposte, come sostiene l’Ueli. Non si sa, infine, con che faccia e intenzioni il nuovo ministro delle finanze si presenti alle organizzazioni internazionali (Fmi, G20, Ocse) senza suscitare qualche dubbio sulla credibilità della Svizzera, nonostante abbia sottoscritto le misure di trasparenza fiscale che vogliono appunto impedire l’evasione fiscale. Oppure quanto si troverà imbarazzato il Segretariato di Stato alle questioni finanziarie quando pretenderà nel prossimo Forum mondiale in giugno di far uscire la Svizzera dalla zona grigia (zona del sospetto) in cui si trova ancora, subendo grossi ostacoli operativi internazionali.


Chi può sapere quanta ricchezza svizzera si è mascherata dietro le società offshore? Un tempo si azzardava la cifra di 60 miliardi di franchi, dieci per cento del pil. Cifra apparsa ridicola dopo alcuni casi emersi negli ultimi anni. Diverse banche, tra cui Ubs, Credito svizzero, Gazprombank, sono ancora citate nei documenti dei Panama papers nonostante le vicende assai costose in cui sono incappate negli ultimi anni.


Un’idea di quanto comporti la sottrazione fiscale ai legittimi stati con il ricorso alle società offshore può essere data da una indagine raccolta in un rapporto appena apparso dell’organizzazione inglese Oxfam International. Solo sui conti privati (escludendo quindi le imprese) figurerebbero in queste società 7.600 miliardi di dollari (l’equivalente di 12 volte la ricchezza prodotta in un anno in Svizzera). Ora, solo i privati più ricchi, quelli che dovrebbero quindi pagare più imposte, hanno lo scopo e i mezzi per ricorrere ai servizi di banche, fiduciari o consulenti per mascherare le loro ricchezze in siti offshore e non pagare le imposte dovute. Con effetti nefasti che ben conosciamo anche in Svizzera. Non solo lo Stato (Confederazione e Cantoni) è indotto a ridurre la fiscalità delle imprese e dei privati ricchi e straricchi per tentare di trattenerli (con il facile alibi di salvare l’occupazione), provocando quindi una perdita netta delle entrate (con Cantoni in concorrenza che finiscono comunque in grossi disavanzi: v. Svitto, Lucerna, Ticino e persino Zugo), ma è costretto a trovare altre risorse, soprattutto nell’imposizione indiretta, che colpisce più i poveri che i ricchi (Iva, tasse varie d’ogni genere, multe) o a ridurre i servizi sociali o gli investimenti in formazione e ricerca, come sta avvenendo.


La conclusione, ben diversa da quella del beato Ueli Maurer, è che coloro che non possono sottrarsi a quelle conseguenze e cioè onesti, salariati o meno abbienti, pagano per i rifugiati fiscali svizzeri a Panama, Bahamas, Isole Vergini, Jersey, Delaware.

Pubblicato il 

20.04.16
Nessun articolo correlato