Capita alle volte di accostare notizie economiche, cercandovi un senso comune, traendo una considerazione (una “morale”, quando il termine non faceva ribrezzo).


Leggo che solo nel secondo trimestre di quest’anno le grandi multinazionali hanno distribuito dividendi per 426,8 miliardi di dollari. Basta qualche divisione per accorgersi che il ritmo dei dividendi distribuiti è superiore all’aumento del prodotto interno lordo mondiale (cioè della ricchezza aggiunta in un trimestre). Una irrazionalità: sembra che si distribuisca più di quel che si produce. La estrema irrazionalità trova conferma in una sotto-notizia di quel rapporto: la Francia è campione d’Europa nella distribuzione di dividendi da parte delle società quotate in Borsa: nel solo secondo trimestre di quest’anno sono stati distribuiti dividendi per 40,7 miliardi di dollari con un aumento del 30,3 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Eppure ci si dice ogni giorno, bersagliando Hollande, che la Francia sta inabissandosi, con il prodotto interno lordo sotto zero.


Leggo in un rapporto di un’agenzia indipendente, non governativa (Cephas Lumina), incaricata comunque dell’indagine da parte del Consiglio dei diritti dell’uomo di Ginevra, che l’evasione fiscale, lo sviamento di fondi, la corruzione, sottraggono ai poteri pubblici (a livello di contributi) 946,7 miliardi di dollari. L’evasione fiscale delle multinazionali è la causa principale delle perdite. Quasi il 22 per cento di queste sottrazioni riguarda l’Europa con una crescita, in due anni, di oltre il 13 per cento. L’Europa in crisi, indebitata, condannata ogni giorno al triste dilemma tra austerità anti-debito e spesa - più crescita, rigurgita quindi di soldi nascosti. Basta un piccolo calcolo per capire come gli indebitamenti pubblici europei potrebbero essere facilmente azzerati.


Leggo in un’analisi sindacale di poco tempo fa (Travail suisse) che la famosa iniziativa Minder sulle rimunerazioni abusive, quasi plebiscitata dal popolo, non ha avuto sinora nessun effetto pratico, mentre l’iniziativa dei giovani socialisti sullo stesso tema (1:12), toccava il nervo giusto e forse per questo motivo è stata respinta. Infatti, i divari salariali tra alti manager e “il resto” uguali o superiori a 1:200 non sono mutati o sono cresciuti. Dovessimo anche ritenere che queste sono “particolarità”, l’Ufficio federale di statistica ci ha dimostrato recentemente che per gli ultimi vent’anni è sistema: l’aumento delle rimunerazioni finisce pressoché esclusivamente sugli alti salari.


Trarre delle conclusioni da questi accostamenti di notizie sembrerebbe superfluo. Diciamo che, nonostante gli avvertimenti, si è rimasti impegolati nelle cause della crisi: gli evasori evadono, gli speculatori speculano, le multinazionali e le banche guadagnano ancora montagne di denaro e lo nascondono e i loro “collaboratori” ricevono bonus sempre più elevati. La politica sta da una sola parte. Poniamoci almeno un interrogativo (postosi quasi paradossalmente da uno studio voluto dal nostro Segretariato di Stato all’economia, Seco, su cui si potrà tornare: “The financial sector and the economy: a pillar or a burden?” “Il settore finanziario: un pilastro o un fardello?”) tenendoci un forte dubbio: la finanza favorisce lo sviluppo delle economie (tanto più se lo si vuole “sostenibile” come ci impongono l’art. 2 e 73 della Costituzione federale)?

Pubblicato il 

27.08.14

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