Festival del film di Locarno

«Cancellate quella collaborazione» è l’appello indirizzato alla direzione del Festival del cinema di Locarno, sottoscritto da oltre duecento professionisti dell’industria cinematografica svizzera e internazionale, tra cui Ken Loach, Jean-Luc Godard o Fernand Melgar. La collaborazione a cui si fa riferimento è con l’Israel Film Fund, istituzione legata a doppio filo col governo israeliano. Quest’anno la sezione Carte Blanche della rassegna locarnese è dedicata alla presentazione di cineasti israeliani in cerca di fondi per completare le proprie opere. La Fondazione del cinema israeliano ha raccolto le proposte e paga le spese di viaggio e albergo ai cineasti selezionati.  Da 10 anni è in corso una campagna di boicottaggio internazionale contro le collaborazioni con istituzioni governative israeliane.

Mettiamo a fuoco il problema prendendo a prestito le parole dei promotori della lettera aperta alla direzione del Festival di Locarno.  «Non chiediamo che il Festival del film di Locarno cancelli l’invito fatto ai cineasti israeliani. Noi chiediamo di interrompere ogni legame con le istituzioni dell’apartheid, comprese le istituzioni culturali che si mettono volontariamente al servizio della propaganda di Stato israeliana». Non è una questione di libertà artistica dunque, ma meramente politica.


Nello Stato d’Israele è molto intenso il connubio tra politica e cultura ufficiale. Non sfugge alla logica della funzione politica l’Israel Film Fund, dipendente dal ministero della cultura e degli affari esteri del governo guidato da Benjamin Netanyahu.
Intervistato dal ginevrino Le Courrier, il regista e documentarista israeliano Eyal Sivan (tra i firmatari dell’appello), spiega che nel 2005 lo Stato israeliano lanciò una grande campagna intitolata «Branding Israel», diretta a veicolare un’immagine positiva del paese.  «Nel suo discorso al Festival di Haïfa – racconta Sivan - Shimon Peres rivolgendosi ai cineasti israeliani disse: “l’America ha imposto la sua cultura attraverso il cinema, noi imporremo la nostra immagine attraverso il cinema. È un vostro dovere”». Il cinema dunque quale arma culturale in relazione al conflitto con i palestinesi.


A dar prova di quanto la cultura sia concepita quale campo di battaglia dall’esecutivo del paese, le recenti decisioni della ministra della cultura e del ministro dell’educazione del governo Netanyahu. Ne ha riferito il quotidiano ginevrino Le Temps la scorsa settimana riportando le affermazioni della ministra della cultura Miri Regev, ex portavoce dell’esercito, quando ha promesso che il suo ministero «non accorderà più sussidi a teatri o artisti israeliani che partecipano alla delegitimazione del nostro paese e al suo boicottaggio». E, dando seguito alle sue parole, ha immediatamente tagliato i crediti al teatro di Haifa perché il suo attore arabo-israeliano Norman Issa (molto popolare e vincitore del premio di miglior attore israeliano nel 2012) si era rifiutato di esibirsi in una colonia in Cisgiordania. La ministra ha pure congelato i sussidi al teatro per bambini “El mina” fondato da Issa insieme con la moglie a Giaffa. Per non essere da meno, il ministro dell’educazione Naftali Bennett ha tagliato i finanziamenti a un’opera teatrale destinata alle scuole perché da lui giudicata contraria «alla linea governativa» e «agli interessi dello Stato». La cultura intesa quale uno dei campi di battaglia nella guerra che da settant’anni vede opposti israeliani e palestinesi.


S’inserisce in questo contesto la richiesta di cancellare la collaborazione col Fondo per il cinema israeliano.
Nel 2004, un gruppo consistente di personalità del mondo culturale palestinese invitò i colleghi di altri paesi ad aderire al boicottaggio accademico e culturale dello Stato israeliano. «Dato che tutte le forme d’intervento internazionale hanno finora fallito nel costringere Israele a conformarsi al diritto internazionale o a porre termine alla repressione dei palestinesi, noi, accademici e intellettuali palestinesi, invitiamo i nostri colleghi della comunità internazionale a boicottare globalmente e coerentemente tutte le istituzioni accademiche e culturali israeliane, come contributo alla lotta per mettere fine alla occupazione israeliana, alla colonizzazione e al sistema di apartheid».


La stretta collaborazione con il Fondo per il cinema israeliano  non poteva sfuggire alla campagna di boicottaggio in corso da dieci anni. Inevitabile dunque, l’invito alla direzione del Festival a desistere dalla collaborazione con l’istituzione israeliana. Un invito sottoscritto da centinaia di personalità del mondo cinematografico internazionale con registi del calibro di Ken Loach, Jean-Luc Godard e numerosi artisti elvetici, tra cui spicca Fernand Melgar. Tra i firmatari non mancano alcuni registi israeliani. Non solo, lo hanno sottoscritto persino dei registi emergenti che hanno vinto la selezione dal festival locarnese degli Open Doors di quest’anno.
I promotori della lettera aperta, oltre a denunciare la repressione in cui vive la popolazione palestinese nei territori occupati dall’esercito israeliano, ricordano come Israele neghi molti diritti alla comunità artistica palestinese, cinematografica compresa. Citano l’esempio dello scorso autunno a Ginevra quando due registe palestinesi invitate a presentare la loro opera alla terza edizione di “Rencontres Cinématographiques”, si sono viste negare dalle autorità israeliane il visto d’uscita, nonostante l’intervento della diplomazia elvetica.
Incurante delle critiche, la direzione del Festival non sembra intenzionata a retrocedere sulla sua scelta. Lo ha comunicato in aprile rispondendo alla lettera aperta. Invocando la libertà artistica di dedicare la sezione Carte Blanche al cinema israeliano, la direzione giustifica la collaborazione con l’Israel Film Fund quale unica possibilità di avere un partner in loco.


Non c’era nessun obbligo di scegliere questa formula, replicano i promotori della lettera. Esistono svariati modi per dar spazio ai cineasti israeliani, come fatto nelle passate edizioni, senza dover passare dal governo israeliano. La storia non finisce qui, assicurano. Prossima puntata, 8-9 agosto quando sarà il turno di Carte Blanche.

Pubblicato il 

02.07.15
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