L'editoriale

Anche in Svizzera si sta finalmente stringendo il cerchio intorno ai responsabili della tragedia dell’amianto: sebbene nessun imprenditore, come sarebbe giusto, verrà mai chiamato a rendere conto davanti a un tribunale per aver esposto alle micidiali fibre e mandato a morte migliaia di lavoratori e cittadini, si sta facendo strada l’ipotesi di istituire un Fondo nazionale d’indennizzo delle vittime. Tutto è ancora da discutere e da definire, ma i timidi segnali di apertura giunti nei giorni scorsi dal mondo economico e imprenditoriale in risposta alle rivendicazioni formulate dall’Unione sindacale svizzera (ne riferiamo a pagina 7) hanno quasi del sensazionale per un paese come il nostro, che storicamente fatica a fare i conti con questa vicenda. Proprio per questo serve prudenza e vigilanza


La Svizzera è la patria della famiglia Schmidheiny, che con l’amianto ha fatto affari in tutto il mondo per tre generazioni.


La Svizzera è stata per sessant’anni la centrale di comando del cartello mondiale dell’amianto (il cui embrione venne costruito a Zurigo nel 1929 su iniziativa degli stessi Schmidheiny), che a partire dagli anni Cinquanta è servito come piattaforma per occultare le evidenze scientifiche sulla nocività della fibra, per delegittimare il lavoro degli studiosi, per corrompere gli scienziati, per infiltrarsi tra gli esperti dell’Organizzazione internazionale del lavoro, per organizzare la disinformazione dei lavoratori.


La Svizzera è il paese di Stephan Schmidheiny, quello che ha preso le redini dell’impero Eternit a metà degli anni Settanta e che, confrontato con la messa all’indice dell’amianto in vari paesi e con gli scioperi che andavano in scena nei suoi stabilimenti italiani sin dalla metà degli anni Settanta, ha cercato di corrompere i sindacati, ha ordinato ai dirigenti locali di mentire agli operai, ha organizzato in modo scientifico una strategia di comunicazione volta a occultare le sue responsabilità, ha fatto spiare le associazioni delle vittime, così come i giornalisti che scrivevano di amianto e più tardi (fino al 2005) i magistrati torinesi che indagavano su di lui e che in seguito ne hanno ottenuto la condanna a 18 anni di carcere per disastro ambientale doloso permanente. Condanna che potrebbe diventare definitiva il 19 novembre prossimo, quando si esprimerà la Corte di Cassazione italiana.


La Svizzera è il paese dove Stephan Schmidheiny ha potuto “concordare” con il Consiglio federale i tempi di uscita dall’amianto, dove il diritto delle vittime alla giustizia è sempre passato in secondo piano rispetto all’interesse al profitto della Eternit (e naturalmente di altre grandi imprese).

 

Succede così che i malati d'amianto scoprono di esserlo quando è troppo tardi per farsi valere in tribunale nei confronti dell'ex datore di lavoro che consapevolmente o per negligenza li ha esposti al pericolo. La Svizzera è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo per le sue norme in materia di prescrizione che producono questo scempio, ma due settimane or sono il Consiglio nazionale ha deciso che nulla va cambiato.
La Svizzera è il paese in cui un “autorevole” professore universitario (al soldo di Schmidheiny) cerca di delegittimare pubblicamente la giustizia italiana che si è permessa di celebrare il processo all'Eternit e fornisce consigli al condannato su come evitare l'arresto.


La Svizzera è il paese in cui la stampa che conta continua a considerare Schmidheiny un “eroe tragico” che «nonostante il suo impegno nell'abbandonare l'amianto, è stato condannato» o uno “sfigato”, ritenuto «responsabile della morte e della malattia di migliaia di lavoratori e cittadini solo perché era alla testa del gruppo Eternit» (Tages Anzeiger di martedì scorso). Sarebbe insomma finito sotto processo per caso, perché si è ritrovato al posto sbagliato nel momento sbagliato: come qualcuno che capita in un negozio mentre è in atto un furto e ingiustamente viene incolpato.


Siccome la Svizzera è tutto questo, va accolta con prudenza e diffidenza la dichiarata disponibilità di Economiesuisse e della Eternit Schweiz AG (successore in diritto della vecchia Eternit) a entrare in materia sull'ipotesi di istituire un Fondo d’indennizzo per le vittime dell’amianto che non beneficiano di altre prestazioni.   
Non deve essere un modo per chiudere la vertenza, per far calare il sipario sull'immane tragedia dell'amianto con un pugno di soldi o per continuare a negare giustizia alle vittime.
E bisogna anche vigilare affinché a pagare l'intera fattura, cioè ad alimentare il Fondo, siano gli industriali che hanno creato il danno e non lo Stato, perché ciò significherebbe far pagare il disastro ai cittadini e dunque  alle vittime stesse. Una questione non certo di poco conto.

Pubblicato il 

09.10.14

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