Lo scorso 24 gennaio SOS Ticino e Incontro Democratico hanno dato vita a un interessante incontro dal titolo “Migrazioni sotto la lente”. Una serata dal notevolissimo successo di pubblico, segno dell’interesse generale per il tema e della sua perdurante attualità, cui hanno partecipato il consigliere di Stato Norman Gobbi, il giurista di SOS Ticino Mario Amato, Immacolata Iglio Rezzonico, avvocatessa, e Lucia Della Torre, ricercatrice all’Università di Lucerna.

 

Molti sono stati i temi toccati, con particolare attenzione alla situazione alla frontiera sud della Svizzera, e alle questioni legate alle riammissioni semplificate verso l’Italia soprattutto quando riguardano minori non accompagnati o altri gruppi fragilizzati. Particolarmente interessante, anche per l’inserimento di temi e spunti di riflessione non frequenti nei dibattiti attorno al tema, l’intervento di Lucia Della Torre. La studiosa ha dapprima ricordato alcuni numeri della migrazione, da sempre macrofenomeno presente nella storia mondiale (il solo commercio degli schiavi ha prodotto uno spostamento forzato di oltre 30 milioni di persone): nel 2013 244 milioni di persone vivevano fuori dal loro Paese di origine; nel 2015 vi erano 19 milioni di rifugiati, saliti a oltre 21 alla fine del 2016. Per quanto riguarda l’Europa, nel 2015 l’intero continente ha accolto 1 milione di rifugiati (di cui 39.000 in Svizzera); nel 2016 tale numero è sceso a 350.000. La gestione della “crisi dei rifugiati” da parte dell’Europa, con le cifre appena ricordate, è stata articolata attraverso tre modalità “risolutive”: l’accordo bilaterale UE-Turchia; la ricollocazione nei diversi Paesi europei dei profughi dall’Italia e dalla Grecia (previsti 120.000 ricollocamenti, eseguiti poco più di 3.000); la rilocazione, cioè il trasferimento diretto di profughi (ad esempio dalla Siria: previste 22.000 rilocazioni in Svizzera, eseguite 8.000).

 

A fronte di un evidente fallimento di queste strategie, la studiosa ha evocato tre precedenti storici a cui varrebbe la pena ripensare per trovare nuove strade da percorrere. La prima è l’esperienza dei cosiddetti boat-people, con le riallocazioni dai Paesi vicini dopo la procedura; la seconda è la pratica dell’evacuazione umanitaria (sperimentata per esempio nel Kosovo); la terza è quella dei passaporti Nansen, che dopo la rivoluzione russa e fino al 1942 garantirono transiti sicuri a numerosissime persone in fuga dalla persecuzione. Non è questo lo spazio per approfondire: ma basti ricordare che di vie sicure di transito, garantite dall’intuizione geniale di Nansen, approfittarono tra gli altri Marc Chagall, Igor Stravinskij, e anche Aristotele Onassis. Casi individuali, persone; come persone e casi individuali sono quelli dei rifugiati di oggi, troppo spesso ombre senza nome, senza presente e senza futuro. Persone senza strade sicure da percorrere, e senza Paesi in cui riposare e poi ripartire, riprendendo il viaggio esistenziale lungo vie meno accidentate e incerte.

Pubblicato il 

08.02.17

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