Bolivia

«Né rielezione, né riforma della costituzione», ha detto Evo Morales in un’intervista alla Bbc dopo aver stravinto le elezioni del 12 ottobre e avere ottenuto il terzo mandato presidenziale che gli consentirà di restare in carica fino al 2020.

 

Ma il primo presidente indio in 500 anni saprà resistere alla tentazione di guidare le celebrazioni del 2025, quando  la Bolivia “indigena”, la “sua” Bolivia, festeggerà i 200 anni dall’indipendenza del 1825?
Insediandosi in gennaio, Evo, eletto per la prima volta nel dicembre 2005, sarà il più longevo di tutti i presidenti boliviani. Non è poco per un paese che nei 180 anni, dal 1825 al 2005, aveva il record mondiale dei golpe (almeno 191).


«Non mi piace che tutto sia concentrato su una persona sola», ha affermato. E ha ragione.
Volendo, qualche piccolo segnale s’è visto nelle ultime elezioni. È vero che Evo le ha vinte in carrozza  – in 8 dipartimenti su 9, unica eccezione il Beni – lasciando l’imprenditore milionario di centro-destra Samuel Doria Medina 36 punti indietro: 61% contro 25%. Ma dopo aver vinto nel 2005 con il 54% e nel 2009 con il 64%, si diceva sicuro questa volta di arrivare al 70%.


Per ora è inconfutabile che la decade di Evo sia stata straordinariamente positiva. Sul piano pratico e sul piano simbolico. La “sua” Bolivia è stata rifondata. Ha consolidato la democrazia, ha smentito il luogo comune che il socialismo sia sinonimo di rovina economica, ha intaccato il razzismo ridando forza, peso, autostima alla maggioranza india. In meno di 10 anni è avanzata più che nei 35 anni precedenti. La corruzione resta, ma i soldi delle nazionalizzazioni degli idrocarburi sono stati impiegati per spese sociali. L’economia è cresciuta del 5% l’anno. La povertà diminuita del 25% e quella estrema del 43%. Le spese sociali aumentate del 45% e il salario minimo in termini reali dell’88%. Per la Cepal (Commissione economica Onu per l’America Latina)  «la Bolivia è uno dei pochi paesi che ha ridotto le diseguaglianze».


I programmi sociali, liquidati dall’opposizione come “populisti” – lo stesso che nel Brasile di Lula – hanno funzionato: i bonus in denaro per le madri e i bambini, la pensione per tutti gli over-60 (la “Renta Dignidad”). Nel 2008 l’Unesco ha dichiarato la Bolivia «paese libero dall’analfabetismo». Il boom di gas, petrolio e soia ha aumentato di nove volte gli introiti dell’export. Una politica fiscale «prudente e relativamente ortodossa» ha consentito di accumulare riserve per 15-20 miliardi di dollari. Dal 2005 il prodotto interno è triplicato o quadruplicato. Per la Fao la Bolivia dimezzerà la malnutrizione nel 2015.


Cifre ed elogi che vengono non solo da Onu, Unesco, Fao o Cepal, ma da fonti ostili a Evo: Fmi e Banca Mondiale, New York Times e Wall Street Journal…


Però poi l’accusano di populismo e autoritarismo, di volersi perpetuare al potere, di sprecare le risorse pubbliche, di approfittare solo del boom delle materie prime, di approfondire la storica dipendenza dal modello estrattivista.


Dall’altra parte accusano Evo di essere (addirittura) “il nuovo capitalismo”, “il nuovo centro-destra”: con lui «gli imprenditori non hanno mai fatto tanti profitti» – come con Lula in Brasile – e “la borghesia aymara” – come la “boli-burgesía” in Venezuela – va a nozze. Lo accusano di aver tradito gli impegni presi con i settori indigenisti più radicali per il rispetto della Pachamama, la Madre Terra.


Non tutte le accuse sono infondate. Corruzione, paternalismo, messianesimo,  favoritismi  a certi settori, l’inestricabile contraddizione fra lo sviluppo economico e la salvaguardia dell’ambiente o i diritti delle popolazioni autoctone…


Non c’è stato il cambio radicale di “paradigma economico” promesso nel 2005 e il “capitalismo andino”  si è risolto in un già visto “capitalismo di Stato con enfasi sociale”.
Ma i risultati sociali ed economici del decennio evista parlano da soli e la “bonanza” economica è incontrovertibile.


Evo: più Lula o più Chávez?  Il discorso antimperialista e latinoamericanista è quello di Chávez, la pratica pragmatica e realistica è quella di Lula. Ma Evo è Evo, né Lula né Chávez. Il leader cocalero che l’ambasciatore Usa a La Paz alla vigilia delle elezioni del 2002 definì “il Bin Laden delle Ande” ne ha fatta di strada. E con lui la Bolivia.

Pubblicato il 

23.10.14
Nessun articolo correlato