Lavoro

Riceviamo la mail di Pasquale Leta, un muratore del Varesotto che ha passato la sua vita professionale nei cantieri del Ticino a costruire strade e case. Dopo un incidente e una malattia si ritrova a dover fare i conti con le procedure che non guardano in faccia alle persone e a vivere senza alcuna entrata a causa di una serie di circostanze sfortunate. L’uomo ci racconta la sua storia, quella «dei poveri diavoli».

«Io vorrei raccontare la mia storia. Io, signora, sono un muratore. Ho lavorato oltre trenta anni in Svizzera italiana. Queste sono le storie dei poveri diavoli dimenticati da tutti». Firmato Pasquale Leta.
Pasquale ci scrive dopo avere letto il servizio sull’associazione “Aiuto alle famiglie di vittime sul lavoro”, costituita qualche settimana fa dai familiari di Martinho, il giovane che mentre lavorava in Riviera è stato vittima di un infortunio per il quale ha perso una gamba, un rene e chissà quant’altro ancora.


Pasquale ha 61 anni, ha lavorato sodo tutta la vita nei cantieri per tirare grandi tre figli, costruire la propria casa e garantire, con tanti sacrifici, solidità alla sua famiglia. No, non è un eroe, né ritiene di esserlo, semplicemente ha cercato di dare il meglio di sé. Poi a un certo punto accade l’imprevedibile. Andiamo indietro di quattro anni, siamo nel 2010. Leta è al lavoro come sempre, ma qualcosa quel giorno va storto: l’operaio è vittima di un infortunio professionale e subisce uno schiacciamento toracico. Soccorso e portato all’ospedale, i medici durante gli accertamenti scoprono che l’uomo ha problemi seri al cuore. La diagnosi è di una fibrillazione atriale persistente, un disturbo del ritmo cardiaco che è incompatibile con un mestiere duro come quello del muratore.

 

E qui ha inizio un’odissea che, per tante coincidenze sfortunate, si trasforma in una beffa. Pasquale Leta, dopo avere lavorato tutta la vita, dal novembre 2013 non percepisce né un franco di qua, né un euro di là. «Sono otto mesi che non vedo un soldo. I risparmi sono ormai andati tutti e se riesco a campare lo devo solo ai miei figli che mi stanno aiutando» ci spiega al telefono l’uomo che vive a Venegono Superiore, nel Varesotto.


Le indennità? Le assicurazioni? Le coperture e la previdenza sociale? Certo, ci sono, ma per una serie di circostanze si rimandano la palla da una parte all’altra. Dunque, Leta prima viene coperto   dall’assicurazione per gli infortuni professionali, quando però in un secondo tempo viene operato al cuore passa sotto malattia.

 

Primo ostacolo: «L’ultima ditta per la quale ho lavorato nel frattempo era fallita, lasciando scoperti diversi mesi di versamenti alle assicurazioni. Non risultavo più coperto e per quasi un anno, dopo l’intervento, non ho percepito alcuna indennità» continua Leta, che per pagare pane, latte ed elettricità, incomincia a dare fondo ai risparmi di una vita. Il muratore nel frattempo viene riconosciuto invalido totale e tira, si fa per dire, un sospiro di sollievo che dura lo spazio di un paio di mesi. «L’Ai rivede la decisione e dal 100 per cento la percentuale di invalidità passa al 29 per cento. Per cui non posso più fare il muratore che è troppo pesante e quindi rischioso per la mia salute, ma qualcosa di più leggero. Signora, io ho buona volontà, non mi è mai mancata, ma ho quasi 62 anni: che cosa posso fare? Chi mi prende?».


Contro tale decisione dell’Ai, il patronato Inca ha interposto ricorso, ma le possibilità di successo sono esigue. La procedura è ora pendente davanti al Tribunale federale e la sentenza, secondo i tempi di accertamento, potrebbe arrivare nella primavera 2015. Tanto, troppo tempo per chi non percepisce una indennità fissa a fine mese. Dal momento  che Leta non è residente in Svizzera, non ha diritto all’assistenza e d’altra parte il fatto che l’uomo abbia quasi sempre lavorato in Svizzera non gli permette di richiedere alcun tipo d’aiuto in Italia dove risulta disoccupato.


«Ho fatto l’apprendistato in Ticino: a 17 anni ero impegnato con altri operai nella costruzione dell’autostrada Lugano nord... Poi ho fatto il militare, mi sono sposato, ho messo su famiglia e ho lavorato per sette anni in Italia. Ho ripreso quindi la vita di frontaliere e per più di trenta anni ho lavorato nei cantieri del canton Ticino. Sono diventato capo muratore. È l’unico mestiere che conosco e penso di averlo fatto bene. Per questo mi sono candidato a un posto come maestro per i muratori al centro professionale di Gordola: un lavoro non pesante fisicamente, ma che rientrava nelle mie competenze. All’inizio sembrava che la cosa potesse andare in porto, ma poi mi è stato comunicato che assumevano solo svizzeri o residenti e mi sono ritrovato punto a capo» continua Leta.


Sfortunato, ma non può chiedere il prepensionamento edile? «No, neppure quello. Io compio 62 anni il prossimo dicembre. Ora io sono fermo dal 2010. Due anni mi sono stati bonificati per malattia, ma sei mesi no. Per colpa di questi sei mesi non ho diritto neppure al prepensionamento. Quest’ultima vertenza è seguita dall’ufficio giuridico di Unia Ticino».


Intanto Pasquale aspetta: «Signora, io non voglio fare la vittima. Mi creda. Anzi, come vorrei non trovarmi in questo stato di cose. Ma sento che devo raccontare il mio caso anche per altre persone che come me potrebbero ritrovarsi da un giorno all’altro in una condizione tanto disgraziata in mezzo a carte, visite mediche e nessuna garanzia. Io sono qui senza niente, non so come vivere, sono dimenticato da tutti. Signora, queste sono le storie dei poveri diavoli che nessuno ascolta».


Pasquale spera però che qualcuno, leggendo la sua storia, si faccia avanti e gli proponga un lavoretto: «Non andrà mica tutto storto il mondo, no?».


Intanto, più realisticamente parlando, l’associazione “Aiuto alle famiglie di vittime sul lavoro” intende contattare Pasquale per offrire almeno un aiuto morale.

Pubblicato il 

03.07.14
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