C’è chi muore e chi dorme

Cinquecentomila morti annunciati entro il 2030 e altre decine di migliaia nei decenni successivi, ma l'Unione europea continua a non prestare sufficiente attenzione ai problemi causati dall'amianto in Europa, dove gli ampi spazi di manovra lasciati ai singoli paesi membri producono enormi disparità di trattamento tra le vittime. Vittime alle quali andrebbero invece garantiti gli stessi identici diritti indipendentemente da come e dove sono state esposte alla fibra killer. Queste le principali conclusioni di un'interessante conferenza internazionale recentemente tenutasi a Bruxelles (Belgio).

Organizzata dalla Conferenza europea dei sindacati (Ces), è stata un'occasione per oltre 150 delegati di 22 paesi (tra loro rappresentanti delle vittime, sindacalisti, medici, esponenti di organizzazioni non governative, giornalisti) per fare il punto sul quadro legislativo vigente e sulle politiche portate avanti dai vari stati, in particolare da quelli del centro-est che da poco sono membri dell'Unione europea (Ue) e o sono candidati a diventarlo. Le relazioni e le testimonianze ascoltate forniscono il quadro di un'Europa in perenne ritardo e con una legislazione «troppo frammentata e ancora inappropriata», ha commentato Laurent Vogel, direttore del dipartimento salute e sicurezza dell'Istituto sindacale europeo (il centro indipendente di ricerca e formazione della Ces) puntando in particolare il dito contro le "eccezioni" al divieto generale d'importazione e produzione dell'amianto (a livello di Ue in vigore dal 2005), che continuano a valere per alcuni settori industriali con impianti che utilizzano cellule d'elettrolisi (un processo utilizzato soprattutto dall'industria del cloro che ricorre a diaframmi contenenti amianto) e che oggi sono ancora presenti in Germania, Polonia e Svezia.
Oltre a questa deroga, ai singoli Stati è concessa la libertà di autorizzare l'importazione sul mercato europeo di materiali contenenti amianto e in uso prima del 1° gennaio 2005, il che «è totalmente incoerente con il divieto, che a sua volta era stato introdotto con almeno 25 anni ritardo», ha commentato Laurent Vogel.
Vi sono poi grossi problemi sul fronte del riconoscimento delle malattie professionali da amianto: l'Ue si limita a delle raccomandazioni e dunque ogni paese fa come vuole, creando enormi disparità di trattamento. Il tumore del polmone viene per esempio ancora riconosciuto solo in casi eccezionali come malattia professionale, quando «alla luce delle nuove conoscenze scientifiche andrebbero presi in considerazione pure altri tumori asbesto-correlati, come quelli che colpiscono la laringe, la faringe, la trachea, l'esofago, il retto, il colon, i genitali», ha fatto presente dal canto suo Raluca Stepa dell'Istituto di ricerca e sviluppo internazionale sulla salute sul lavoro di Amburgo.
Per quanto riguarda il risarcimento, il modello che dovrebbe fare scuola in tutta Europa è quello della Francia, dove nel 2002 è stato istituito un fondo d'indennizzo a cui possono attingere tutte le vittime dell'amianto, indipendentemente dal fatto che siano state esposte sul luogo di lavoro o altrove, indipendentemente dal momento dell'esplosione della malattia, indipendentemente dall'origine professionale o ambientale della stessa e indipendentemente da eventuali cause giudiziarie parallele (contro l'ex datore di lavoro per esempio). Alimentato nella misura di tre quarti circa da contributi prelevati alle imprese (comprese quelle che non hanno mai lavorato l'amianto), il fondo consente di risarcire in tempi ragionevoli (circa sei mesi) praticamente tutte le vittime, anche quelle affette da "semplici" placche pleuriche, una patologia non maligna che, pur essendo una prova dell'esposizione alle fibre di asbesto, negli altri paesi non dà diritto ad alcuna forma di indennizzo. La cosa viene giustificata col fatto che nel paziente con placche non si presentano conseguenze funzionali negative. Sarebbero insomma asintomatiche. «Non è vero! Io ho le placche provo dolore ogni qual volta faccio un respiro profondo», ha testimoniato, arrabbiato, il presidente dell'Associazione francese delle vittime dell'amianto (Andeva) e figura storica delle battaglie per la giustizia in Francia Pierre Pluta, 65 anni, ex operaio sui cantieri navali di Dunkerque (nel Nord del paese a pochi chilometri dal confine col Belgio) scopertosi malato d'amianto alla fine della sua vita professionale. «Sarebbe ora di cominciare a trattare tutte le vittime allo stesso modo in tutta Europa» ha dunque auspicato Pierre Pluta.
Un appello il suo che acquista ulteriore importanza alla luce delle profonde discrepanze tra le politiche di lotta all'amianto portate avanti dai vari paesi europei e dei ritardi accumulati soprattutto dagli Stati del centro-est e del sud Europa.
Particolarmente significativa la testimonianza del dottor Romeo Hanxhari, professore universitario e presidente dell'Associazione albanese sulle nuove politiche ambientali: «In Albania della questione amianto ci si occupa da soli sette anni e solo grazie all'attività dell'Associazione che rappresento: le istituzioni pubbliche a cui ci siamo appellati non hanno sin qui fatto nulla, né per bonificare il territorio né per rendere giustizia alle vittime».  Anche in questo paese è stata la svizzera Eternit a introdurre negli anni Cinquanta l'uso industriale dell'amianto: si calcola che ne siano state utilizzate 188 mila tonnellate e che ve ne siano ancora 90 mila circa concentrate nelle regioni più sviluppate del paese: «L'amianto è presente in molti edifici pubblici (compreso quello che ospita il Ministero del lavoro e degli affari sociali, dove è stato impiegato solo 5 anni fa importato dalla Cina) e privati. Nelle case degli albanesi non è raro per esempio trovare stufe con rivestimenti in amianto importate dalla Cina e che disperdono milioni di fibre negli ambienti abitativi (che oltretutto sono molto piccoli). Basta poi passeggiare per le strade di Tirana per imbattersi in strutture con il tetto in lastre d'amianto, semidistrutte come quello della stazione centrale dei bus della città dove ogni giorno transitano decine di migliaia di passeggeri». «Intanto, - ha concluso Hanxhari- il sistema sanitario albanese continua a non considerare l'asbesto come fattore di rischio e ad imputare sempre solo al tabacco ogni forma tumorale delle vie respiratorie».
Dalle testimonianze ascoltate, la situazione appare solo leggermente migliore in paesi come la Macedonia (dove ancora nel 2011 è stato importato amianto impiegato per le frizioni delle automobili), la Serbia, la Slovenia e l'Ungheria. A Est l'unica nota positiva è la Polonia, il solo stato del continente ad avere elaborato un piano governativo per eliminare tutto l'amianto sul suo territorio entro il 2032.
Drammatica infine la situazione in Grecia, fino al 2000 al 7° posto dei paesi produttori a livello mondiale, 250 mila lavoratori esposti e 6 milioni di tonnellate di prodotti in cemento-amianto sparsi sul territorio. «Ciononostante -ha spiegato il sindacalista Spiros Drivas- le patologie asbesto-correlate non vengono di regola riconosciute come malattie professionali: il mesotelioma è considerato tale solo dal 2004 e solo sulla carta». Poco incoraggianti anche le prospettive per il futuro: «In Grecia vi sono circa 700 mila lavoratori che non percepiscono lo stipendio, la disoccupazione sfiora il 45 per cento e negli ultimi due anni ci sono stati più di 5mila suicidi. In queste condizioni ogni iniziativa sulla salute dei lavoratori passa in secondo piano», ha concluso Spiros Drivas.

Nelle scuole inglesi è una strage


Bruxelles – Sua moglie, ex insegnante, è morta di mesotelioma nel 2000 dopo essere stata esposta all'amianto in una scuola in cui aveva lavorato per anni. Da allora, Michael Lees porta avanti una battaglia per la rimozione dell'amianto dagli edifici scolastici del Regno Unito attraverso un'organizzazione non governativa ("The Asbestos in Schools group", AiS) che si occupa anche di informare docenti e genitori sulla questione.

Secondo un'indagine svolta dal governo britannico, più del 75 per cento delle scuole costruite nel Regno Unito tra il 1945 e gli anni Settanta contiene amianto: «Erano gli anni dei "baby boomers"e c'era la necessità di costruire in fretta nuovi edifici scolastici. Si optò perlopiù per costruzioni prefabbricate o quasi, piene zeppe di questo materiale di cui si apprezzavano le qualità isolanti e anti-incendio», ha spiegato Michael Lees. Oggi la sfida consiste nel proteggere la salute degli insegnanti e degli allievi che frequentano i circa 13 mila edifici scolastici britannici in cui l'amianto è ancora presente. La politica del governo di Londra non prevede infatti interventi di risanamento sistematici. Finché i manufatti sono in "buone condizioni" non vengono rimossi, «ma lo si dovrebbe fare perché basta una puntina o un chiodo infilzato in un pannello con asbesto per disperdere nell'ambiente le pericolose e sottilissime fibre», ha fatto ancora presente il rappresentante dell'Ais. Fibre che vanno a depositarsi nelle vie respiratorie e che, a distanza di 20, 30, 40 o anche 50 anni, possono sviluppare il mesotelioma, la più grave forma di tumore da amianto che non dà scampo.
Non è un caso che nel Regno Unito (in Europa è il paese con il più alto tasso d'incidenza delle malattie asbesto-correlate) il numero di morti tra i docenti cresca anno dopo anno: sono più di 200 dal 1980 a oggi.
«È inevitabile che tra qualche anno cominceranno a morire gli ex allievi che hanno subito l'esposizione durante la loro carriera scolastica», ha aggiunto Michael Lees. E la dimensione della strage è destinata ad ingrandirsi, come si può prevedere sulla base di studi condotti negli Stati Uniti, secondo cui per ogni docente morto per malattie asbesto-correlate moriranno nove allievi con cui hanno condiviso l'esposizione. I bambini sono più vulnerabili perché hanno una speranza di vita più lunga dei loro insegnanti e quindi anche più probabilità di sviluppare il mesotelioma (che può avere periodi di latenza lunghissimi) nel corso della loro vita.
«Le nostre scuole sono delle bombe a orologeria», ripetono da anni le associazioni dei docenti pensando che ogni giorno negli edifici scolastici del Regno Unito ci sono 800 mila insegnanti e 9 milioni di bambini.  

Pubblicato il

28.09.2012 01:00
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