Il lieto naufragio della lex Lombardi

Affossata definitivamente l'orario di apertura fino alle 20 in tutto il Paese

È definitivamente fallito il tentativo di imporre a tutti i Cantoni un’ennesima estensione degli orari dei negozi: il progetto di legge federale che mirava ad “armonizzare” le aperture dalle 6 del mattino fino alle 8 di sera sull’intero territorio nazionale, “figlio” di una mozione del senatore ticinese Filippo Lombardi, è infatti stato affossato lunedì dal Consiglio degli Stati. Si tratta di una decisione presa essenzialmente nel nome del federalismo, ma che rappresenta anche una vittoria per molte lavoratrici e molti lavoratori del commercio al dettaglio, un settore già fin troppo liberalizzato e povero di regole e garanzie a tutela del personale che certo non ha bisogno di un ulteriore allentamento normativo.

È giusto allora tirare un sospiro di sollievo per la scelta dei senatori, che non era del tutto imprevedibile ma neppure attesa, perlomeno con la chiarezza di 26 voti contro 16 e 3 astenuti. Basti pensare che una prima decisione di non entrata in materia da parte della stessa Camera dei Cantoni (nella sua vecchia composizione precedente le elezioni di ottobre 2015) era stata presa meno di un anno fa con 19 voti a 18 e grazie al voto preponderante dell’allora presidente. Si temeva dunque che questa volta i senatori si piegassero alla volontà del Governo, del Consiglio nazionale, dei partiti borghesi e così alle pretese dei giganti della grande distribuzione, che sarebbero stati i principali beneficiari di un’estensione generalizzata degli orari dei negozi.


Tra gli argomenti a sostegno di questa Legge federale sugli orari di apertura dei negozi (LANeg) durante il dibattito ha primeggiato quello della lotta al cosiddetto “turismo degli acquisti” nei paesi a noi confinanti. «In Italia, Francia, Germania e Austria vigono leggi molto più liberali di quella che stiamo discutendo», ha per esempio affermato la relatrice della Commissione Karin Keller-Sutter, quantificando anche i presunti danni patiti dalla Svizzera per i circa 11 miliardi di franchi che verrebbero spesi dagli svizzeri nei commerci d’oltreconfine, in termini di mancate entrate fiscali (500 milioni di franchi) e di cancellazione di impieghi (6.000 negli ultimi quattro anni). «Fate il possibile per salvare i posti di lavoro», le ha fatto eco il ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann, sostenendo che lo shopping all’estero potrebbe raggiungere un volume potenziale di 30 miliardi di franchi e portare alla perdita di ulteriori posti.


«La preoccupazione principale di coloro che si recano all’estero per fare gli acquisti non è legata agli orari di apertura, ma ai prezzi», ha puntualmente replicato il senatore friburghese e presidente del Partito socialista Christian Levrat, ricordando peraltro come le cifre d’affari realizzate nei cantoni che hanno liberalizzato totalmente gli orari di apertura dimostrino che non vi è alcuna correlazione fra orari e turismo degli acquisti. Levrat ha inoltre ricordato le «condizioni di lavoro particolarmente precarie in questo settore» e messo in guardia dal rischio per il personale di «un’ulteriore frammentazione dell’orario di lavoro» che renderebbe «ancora più difficile conciliare vita professionale e famigliare», in particolare per le donne. E poi si dovrebbero fare i conti con la chiusura di molti piccoli commerci che già oggi faticano a reggere la concorrenza dei grandi marchi, ha ricordato il senatore socialista definendo la legge in discussione anche come un «attacco irrispettoso e pericoloso del federalismo». «Una legge federale non può correggere ciò che i governi cantonali non riescono a realizzare. Non possiamo imporre la liberalizzazione a cittadini che l’hanno rifiutata, anche a più riprese», ha infine argomentato riferendosi alle numerose votazioni popolari degli ultimi anni in cui la maggior parte delle proposte dei governi cantonali per un’estensione degli orari di apertura dei negozi sono state bocciate (13 volte su 16).


Alla fine, tenuto conto anche che l’idea di una legge federale è invisa a quasi tutti i Cantoni – consultati per ben tre volte sul tema –, una chiara maggioranza di senatori non se l’è sentita di intaccare la loro competenza legislativa in questo campo e si è schierata con decisione in difesa della democrazia e del federalismo. E nell’interesse di decine di migliaia di venditrici e venditori che si sarebbero viste(i) prolungare ulteriormente le loro giornate lavorative.

Pubblicato il

09.06.2016 14:29
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