L'editoriale

Mentre i salari sono stagnanti da anni, le lavoratrici e i lavoratori devono sborsare sempre di più per fare la spesa al supermercato, per bere un caffè al bar, per mangiare una pizza, per fare un viaggio, per pagare luce, acqua ed elettricità e, se non si hanno alternative al mezzo privato, persino per andare a lavorare. E a questo inesorabile rincaro di beni e servizi (che si stima produca un degrado della situazione finanziaria del 20-30% della popolazione), si aggiunge l’assicurazione malattie, i cui premi nel 2023 raggiungeranno livelli mai visti con costi mensili per una famiglia che supereranno per la prima volta i 1.000 franchi. Risultato: nelle tasche dei salariati ci sono sempre meno soldi per vivere. Di fronte a questa situazione e per evitare che decine di migliaia di persone finiscano in povertà s’impongono adeguate misure di carattere sociale e soprattutto, come da mesi chiede il movimento sindacale, aumenti generali delle remunerazioni. Servono insomma salari corretti: una piena compensazione del rincaro a salvaguardia del potere d’acquisto e aumenti salariali reali. Molte intese sin qui sottoscritte da sindacati e datori di lavoro nell’ambito delle trattative salariali di questi mesi vanno nella giusta direzione, ma la situazione non è dappertutto soddisfacente.


Non lo è per esempio nel commercio al dettaglio, un settore già estremamente fragile, con quasi un quarto dei dipendenti (soprattutto donne) confrontati con la problematica dei bassi salari, con la precarietà e con una crescente liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi e con tutto ciò che questo comporta per le condizioni di lavoro del personale. Una tendenza quest’ultima che non accenna a placarsi, come dimostra la recente revisione legislativa del Gran Consiglio ticinese che estende ulteriormente il lavoro serale festivo nei negozi e contro cui i sindacati e la sinistra hanno promosso il referendum (il cui formulario per la raccolta delle firme si può scaricare qui).


E se la politica con decisioni di questo tipo dimostra di essere totalmente indifferente ai bisogni del personale, nascondendosi dietro la narrazione secondo cui maggiori aperture favorirebbero i consumi e l’occupazione (balla colossale), il padronato non fa meglio. Un pessimo esempio lo sta dando per esempio il gigante della grande distribuzione Coop, che nelle trattative salariali si è rifiutato di concedere la piena compensazione del rincaro, persino al personale con i salari più bassi. Nonostante oltre mezzo miliardo di franchi di utile conseguito l’anno scorso generato dal duro lavoro dei dipendenti, Coop non garantisce loro il mantenimento del potere d’acquisto. Un affronto. I buoni acquisto offerti dalla direzione del gigante arancione sono certamente apprezzati dal personale, ma non rappresentano un miglioramento dal punto di vista salariale perché con essi non si pagano i premi di cassa malati, la fattura della luce o il pieno di benzina.


Poi vogliono farci credere che è con le aperture prolungate dei negozi che si stimola la domanda e dunque la capacità di acquisto delle salariate e dei salariati...

Pubblicato il 

17.11.22
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