La Svizzera evolve

Un bel segnale di tolleranza, di rispetto della dignità umana e di apertura mentale che lascia ben sperare per la sorte dei diritti in questo paese, ma al tempo stesso soltanto una vittoria di tappa nella lotta contro le discriminazioni. Così può essere letto il sì massiccio (63,1%) delle cittadine e dei cittadini all’iscrizione dell’omofobia nel Codice penale svizzero, che sarà dunque considerata un reato (come è già il caso in alcuni altri paesi europei, quali Francia, Austria, Danimarca e Paesi Bassi), punibile con una pena detentiva sino a tre anni.  


La modifica di legge votata lo scorso 9 febbraio estende l’applicazione della cosiddetta “norma anti-razzismo” in vigore dal 1995, che sanziona chiunque discrimina o discredita pubblicamente una persona o un gruppo per ragioni di razza, etnia o religione, oppure incita pubblicamente all’odio nei loro confronti: dal prossimo 1° luglio essa varrà anche per atti che ledono la dignità di uno o più soggetti in relazione al loro orientamento sessuale. Con questo tipo di legislazione, la Svizzera si dimostra un paese progredito e capace di riconoscere i cambiamenti sociali.

 

Ma non basta avere una norma per combattere le aggressioni fisiche e verbali di cui ancora oggi anche nel nostro paese sono spesso vittime le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali. Bisogna anche garantirne un’applicazione immediata, efficace e rigorosa, il che richiederà per esempio un lavoro di sensibilizzazione di poliziotti e magistrati e uno stretto monitoraggio del fenomeno. Con il solo strumento giuridico mai si potranno impedire quei tanti piccoli episodi di omofobia o le battutacce da bettola che si registrano nella vita di tutti i giorni (e anche sui luoghi di lavoro), ma perché vi sia un minimo di effetto deterrente sarà necessario farne buon uso. Andrebbe dunque superata quella “timidezza” con cui è stata sin qui applicata la norma anti-razzismo: poco più di 900 inchieste e 550 condanne tra il 1995 e il 2018, a fronte di centinaia di episodi di discriminazione razziale registrati annualmente dai centri di consulenza per le vittime.


In attesa di una prova dei fatti, il risultato della votazione ci dice comunque che nella nostra società la mentalità è evoluta e continua a evolvere: i sì sono stati il 63,1% e gli argomenti dei cattolici oltranzisti che hanno combattuto la legge (ai loro occhi «una censura alla libertà di espressione») hanno fatto breccia soltanto nella Svizzera primitiva (Uri, Svitto e Appenzello interno); nel 2005 invece l’unione domestica registrata per le coppie dello stesso sesso venne approvata solo dal 58% della popolazione e respinta da ben 7 Cantoni e semi-Cantoni (Ticino compreso che stavolta ha invece accolto la punibilità dell’omofobia con il 66,8%); ancora più fatica fece nel 1994 la stessa norma anti-razzista, approvata dal 54,6% con l’opposizione di 13 Cantoni e semi-Cantoni.
È un’evoluzione sicuramente incoraggiante in vista dei dibattiti che verranno, come quello sul “matrimonio per tutti” che il Consiglio nazionale affronterà il mese prossimo (e che stando ai sondaggi gode dei favori di una maggioranza di cittadini) e quello che inevitabilmente seguirà sull’accesso alla procreazione assistita per le coppie lesbiche. Anche se non saranno certamente strade in discesa.

Pubblicato il

13.02.2020 09:40
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