Razzie di diritti e salari

Sono 61 i tavoli di crisi aperti al ministero per lo Sviluppo economico e riguardano altrettante medie aziende a rischio chiusura, mentre quelle piccole in crisi non si contano, neanche meritano l'apertura di un tavolo o una mediazione pubblica: chiudono punto e basta. I

 

n questo scenario di guerra i padroni fanno quello che vogliono: delocalizzano a Est e chiudono in Italia; oppure restano, ma a condizione che i sindacati si facciano da parte e gli operai rinuncino ai diritti acquisiti. La Fiat cambia nome, si chiama Fca, registra la nuova società in Olanda per usufruire delle agevolazioni fiscali, si quota in borsa a Londra per risparmiare sulla tassazione dei dividendi, trasferisce negli Usa know-how, ricerca e modelli e in Italia mantiene solo produzioni di nicchia d'alto bordo, per le quali si richiederà una forza lavoro probabilmente dimezzata rispetto a quella attuale, costretta a sopravvivere in cassa integrazione finché ce ne sarà. Per fortuna, però, il premier Letta, dagli Emirati arabi dove è andato a vendere l'Alitalia, ci fa sapere che la crisi è finita. Colpa nostra se non ce n'eravamo accorti e colpa del 43% di giovani se non trovano lavoro e dei poveri che non si danno da fare se aumenta la diseguaglianza e il 10% degli italiani detiene la metà della ricchezza nazionale.


Che la crisi sia nel pieno del suo potere distruttivo l'ha capito perfettamente la multinazionale svedese Electrolux, il colosso degli elettrodomestici che si è mangiata la Zanussi che a sua volta s'era mangiata la Zoppas. L'ha capito e cerca di trasformare la crisi in opportunità. Abbiamo 4 stabilimenti in Italia, uno di troppo, dice, chiudiamo quello friulano. E dice ancora: gli operai italiani sono troppo esosi, preferisco quelli polacchi che si accontentano di qualche osso di pollo senza pretendere petto e coscia. Perciò, se volete che la multinazionale continui a produrre elettrodomestici in Italia dovete accettare una riduzione salariale superiore al 40%, non più di 800 euro al mese di stipendio. Prendere o lasciare, tuona Electrolux.


Marchionne ha fatto scuola con i suoi ricatti e la crisi – rispetto alla quale né la politica né i sindacati confederali contrappongono azioni determinate e autorevoli – asfalta il terreno su cui gli (im)prenditori fanno razzie di diritti e salari denunciando l'alto costo del lavoro. Ma c'è qualcosa che non torna: nel manifatturiero un'ora di lavoro costa 34 dollari contro i 40 della Francia e i 46 della Germania. Quel che in Italia costa molto di più non è il costo del lavoro bensì l'energia, le spese per le esportazioni, quelle per la burocrazia e la giustizia. Ma per Electrolux è più facile bastonare il can che affoga. Del resto, alla fine del secolo scorso proprio la Zanussi-Electrolux aveva inventato quel che sarebbe poi diventata regola in Italia: il job on call, lavoro a chiamata via sms, accettato dai sindacati. Peccato che poi una parte della Fiom promosse un referendum tra i dipendenti che bocciò sonoramente quell'accordo.

 

Pubblicato il

05.02.2014 22:58
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