Si scelga il campo della giustizia sociale

Anche in Svizzera la pandemia ha peggiorato le condizioni di lavoro e d’impiego: l’Uss chiede misure per i salari e contro disoccupazione e precariato

Disoccupazione e sottoccupazione crescono, gli impieghi precari proliferano, il rispetto delle norme legali in materia di salari e condizioni di lavoro viene meno e a pagarne il prezzo più elevato sono le persone fragili, in termini sia economici sia di salute. Sono gli effetti deleteri di 14 mesi di pandemia e soprattutto del mancato ascolto del celebre appello che udiamo sin dal marzo 2020 “Nessuno va lasciato indietro”. La situazione è «preoccupante anche per i mesi a venire», denuncia l’Unione sindacale svizzera (Uss), formulando tutta una serie di rivendicazioni tese a ricomporre la frattura sociale: a partire da quella di un salario minimo legale di 22 franchi l’ora.

«Il mondo della fine della pandemia è più ingiusto e più pericoloso, soprattutto per le persone a basso reddito, le donne e i giovani», sintetizza il presidente dell’Uss Pierre-Yves Maillard, auspicando, «come dopo la Seconda guerra mondiale», l’apertura «di una nuova era di sicurezza sociale e di condivisione dei frutti della crescita per ricreare fiducia». In Svizzera la lotta contro la pandemia non ha portato a limitazioni delle libertà civili ed economiche tanto severe come nei paesi vicini, ma i danni sono «impressionanti» per i salariati: «Basti pensare – sottolinea Maillard – che oggi ci sono più di 550.000 persone che dipendono dall’assicurazione contro la disoccupazione, ossia 450.000 in più rispetto a inizio 2020».


Sul fronte occupazionale, sono i giovani e i lavoratori anziani a essere più colpiti. Si assiste infatti alla sparizione dal mercato del lavoro o al crollo del tasso d’impiego di molti attivi fra i 15 e i 24 anni: ragazze e ragazzi che hanno perso quei piccoli lavoretti, fondamentali sia per il loro equilibrio finanziario sia come porta d’ingresso nella vita professionale. Di qui le prevedibili crescenti difficoltà nel vivere questa transizione. D’altro canto la disoccupazione cresce in maniera sproporzionata anche tra le lavoratrici e i lavoratori in fine carriera: per gli ultrasessantenni la tendenza è addirittura «inquietante», ma il fenomeno non risparmia nemmeno la fascia 55-60.


Sono poi le salariate e i salariati con un reddito inferiore a 4.000 franchi a subire un’importante erosione del potere d’acquisto: secondo le stime dell’Uss, oggi mediamente dispongono di 300 franchi in meno al mese, mentre le classi salariali superiori a 10.000 franchi di 300-400 in più.  

Un esercito di precari
La parziale sospensione delle attività economiche ha dal canto suo favorito la proliferazione di impieghi precari. La chiusura dei ristoranti ha per esempio prodotto un boom dei servizi di consegna pasti a domicilio, i cui corrieri sono generalmente mal pagati, lavorano senza orari e non godono delle coperture sociali dovute. Sul fronte dei negozi, invece, le restrizioni hanno prodotto un’esplosione degli acquisti online, che nel 2020 ha raggiunto l’11,8% della cifra d’affari del commercio al dettaglio, circa il doppio di quanto era 5 anni fa. E con questo il rafforzamento sul mercato delle varie piattaforme di vendita (da Zalando e Amazon a Galaxus e Brack), vere e proprie centrali di lavoro temporaneo e precario.

 

Ma anche per il personale rimasto a lavorare nei negozi la pandemia non è stata indolore: oltre a ricevere salari «miserabili», subire orari «flessibilizzati all’estremo», tassi d’occupazione minimi e lavoro su chiamata, le venditrici e i venditori sono spesso stati obbligati a nuovi sacrifici e nuove mansioni di supporto al commercio online e hanno subito «un degrado delle loro condizioni di lavoro», ricorda la presidente di Unia Vania Alleva, facendo presente come queste persone, «di cui le autorità e il padronato preferiscono non parlare», abbiano giocato un ruolo centrale nella primavera 2020 garantendoci dei servizi essenziali venuti meno con le misure di contenimento e assurgendo a “eroi”.

 

Al pari del personale di cura e di quello della logistica, sottolinea Vania Alleva tornando a denunciare il caso «esemplare» degli autisti che lavorano al servizio del “gigante dei pacchi” francese Dpd, vittime di un sistema che si regge sul subappalto, su retribuzioni da fame, ritmi di lavoro infernali e sulla «sistematica violazione del diritto del lavoro».

Le rivendicazioni
A fronte di questa situazione, per l’Uss s’impone una serie di misure se si vuole impedire che il Covid-19 lasci in eredità un aumento durevole della disoccupazione, impieghi sempre più precari e un ulteriore allargamento del divario retributivo. Se si vuole insomma superare una «crisi sociale» che peraltro  fa «da sfondo alle manifestazioni di rabbia e disperazione che si registrano anche nella nostra Svizzera solitamente tranquilla», sottolinea Maillard.


In particolare l’Uss chiede:
• Un salario minimo di 22 franchi all’ora, condizioni di lavoro regolamentate e Contratti collettivi di lavoro di forza obbligatoria anche per le nuove figure professionali che si sono create nell’ambito dei servizi di corriere e del commercio online.
• La restituzione alla popolazione di 5 miliardi di franchi di riserve eccedentarie dei premi dell’assicurazione malattie per rafforzare il potere d’acquisto e stimolare l’economia nazionale.
• L’abbandono dei programmi di austerità, soprattutto a livello federale.
• Una politica monetaria proattiva contro la sopravvalutazione del franco per stabilizzare l’economia d’esportazione.
• Garanzie di lavoro nelle aziende e sostegno nella ricerca di un’occupazione per i giovani che hanno completato la loro formazione.


«È tutta una questione di volontà politica», commenta la presidente di Unia Vania Alleva, insistendo in particolare sulle necessità di una piena compensazione salariale per chi si trova in regime di lavoro ridotto e percepisce meno di 5.000 franchi netti al mese e di un’imposizione accresciuta delle imprese. «In Svizzera ci sono abbastanza soldi per finanziare il riequilibrio sociale che s’impone con urgenza». Di qui «nuovamente» la richiesta che la Svizzera «non cerchi di approfittare della crisi privilegiando gli interessi di qualche super ricco» e che si posizioni «nel campo della giustizia sociale, nei dibattiti in corso relativi a un tasso minimo mondiale d’imposizione degli utili delle multinazionali, e prendere essa stessa coraggiosamente l’iniziativa», conclude Vania Alleva.

Pubblicato il

29.04.2021 16:58
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