Speranze di una comunista

Intervista a Rossana Rossanda

L’intervista, che ci concede in occasione di un suo passaggio in Ticino, non può in effetti che incominciare da un’analisi severa delle recenti vicende politiche del suo paese: la rielezione di Napolitano, la nascita del “governissimo”, la sinistra morente.


«Il nostro presidente della Repubblica ha favorito il rientro di Berlusconi non solo nella vita politica, ma anche nelle istituzioni e nel governo. Io penso che sia un errore catastrofico», afferma Rossana Rossanda che al Quirinale avrebbe voluto Stefano Rodotà, il candidato che era stato proposto dal Movimento 5 stelle: «Un uomo serio, di sinistra, un grande costituzionalista, non un grillino. Lui avrebbe lavorato a un altro tipo di governo, a un governo tra la sinistra e il Movimento 5 stelle». E anche Napolitano «avrebbe potuto fare diversamente ed evitare di ridare legittimità a Silvio Berlusconi». «Non capisco, non capisco il ragionamento del presidente», insiste. Il Cavaliere «non è certo una figura da proteggere. Fosse un grande politico, un uomo intelligente, potrei capire, ma non è niente di tutto questo. Non è nemmeno un genio del capitale: non è Ford e neanche Agnelli o Olivetti, ma un faccendiere imbroglione che non si trova in galera solo grazie alla sua squadra di avvocati che trascina i processi all’infinito. Eppure, ogni volta che sta per “morire” viene ripescato. Non riesco a dare una spiegazione».


Inevitabilmente il discorso scivola sulla figura del presidente Napolitano, di cui Rossana Rossanda è stata anche compagna di partito: «Di lui non sono delusa, perché lo conosco dal 1945. Nel Partito comunista italiano rappresentava la destra. È stato un allievo di Giorgio Amendola ma ha sempre avuto molto meno coraggio di Amendola».
Dal neonato governo ci si deve aspettare una nuova stagione di “macelleria sociale” dopo quella praticata dall’esecutivo di Mario Monti?
Non sarà sicuramente meglio con un presidente del Consiglio come Enrico Letta che rappresenta la destra della sinistra, con la presenza determinante di Berlusconi e i vincoli europei in materia di politiche economiche. Socialmente l’Italia andrà molto male. E non so fino a quando si potrà andare avanti così, con la disoccupazione alle stelle e milioni di persone che non cercano nemmeno più lavoro tanto sono sfiduciate.
Ma in fondo, in un’epoca in cui l’economia ha ormai sovrastato la politica, non è indifferente chi governa?
Non penso che l’economia abbia sovrastato la politica. È stata la politica che ha regalato all’economia i suoi poteri. È stata una scelta tutta politica, una scelta liberista che hanno fatto i governi europei, compresi quelli di sinistra purtroppo. E l’economia capitalista, dal canto suo, non è un istituto di beneficenza: essa punta sempre alla propria riproduzione. Lo si sa.
In che misura questa “scelta” è reversibile?
Non credo che l’Europa, con una quantità di disoccupati che in epoca moderna non ha mai conosciuto, possa andare avanti un pezzo su questa linea politica ed economica fatta di rigore e austerità. Resta il problema di sapere chi e come può indurre il cambiamento. Da vecchia comunista quale sono, ritengo che questo processo possa passare solo dalla ripresa di una sinistra autentica, che oggi è però in grande difficoltà.
Da che punto deve ripartire la sinistra?
Siccome non è stata fatta un’analisi nostra del perché e come è finita male l’esperienza dell’Unione Sovietica, finiscono male Cuba e la Cina, ha vinto l’ipotesi della destra, dei nostri avversari, secondo cui il socialismo sarebbe stato un abbaglio, un progetto irrealizzabile. La sinistra, facendo sua l’idea che hanno ragione gli altri, si è suicidata. È drammatico, ma il peggior distruttore della sinistra è la sinistra, non sono i nostri avversari.
Penso che sarà molto difficile far riprendere un grande movimento di massa se non si darà una spiegazione del perché un movimento come quello comunista di milioni e milioni di persone sia crollato così, se non si analizzano gli errori politici ed economici. Su questo la sinistra non ha mai detto niente e cerca di non dire. Io penso che non si possa sfuggire a questo problema storico enorme del Novecento. C’è chi ritiene che affrontarlo significhi deporre le armi. Io, al contrario, penso significhi riprenderle.
La sinistra (in Italia come altrove) non è più un punto di riferimento dei lavoratori, che oggi danno il loro voto anche a partiti e movimenti populisti di destra. Come può la sinistra recuperare la fiducia presso i lavoratori?
Semplicemente battendosi per il lavoro. I lavoratori che si rivolgono alla Lega o a Berlusconi si sbagliano: votare per loro è come chiedere il pane a chi vende la frutta.
E votando Grillo?
Anche da lui non otterranno mai nulla. Grillo attacca soprattutto la politica, più la politica che il padronato, più gli aspetti degenerativi del sistema piuttosto che il sistema.
Perché nemmeno le formazioni politiche che ancora portano il nome “comunista” e che si collocano a sinistra dell’odierno Partito democratico faticano a fare breccia nel mondo del lavoro?
Perché per questo ci vogliono molte forze. Servirebbero un grande sindacato fortemente politicizzato e un grande partito su posizioni analoghe che difendono il lavoro. In Italia abbiamo l’esempio della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici che conduce battaglie importanti ma che, non avendo un referente politico, è costretto a fare anche politica, un mestiere che non è il suo. E questo è un grosso limite.
Rimpiange quel Partito comunista italiano che lei ha tanto criticato e dal quale è stata radiata?
Lo rimpiango molto. Anche se penso che abbia commesso tanti errori, più il tempo passa più lo rimpiango. Con un Pci e un sindacato forti sono state fatte importanti riforme per il lavoro e nel campo dei diritti civili. E poi l’Italia ha avuto un clima morale e politico molto più serio fino al 1989.
Ha fiducia nelle nuove generazioni?
No. Non ho né fiducia né sfiducia. Aspetto di vedere. Io non sono giovanilista, perché oggi i giovani vengono educati a non occuparsi di niente: manca la volontà di dare loro responsabilità intellettuale e morale.
Che cosa pensa di Matteo Renzi?
Matteo Renzi? Io non vorrei prendere nemmeno un caffè con lui. La sua idea di sostituire i vecchi con dei giovani è sbagliata: il problema è lo spessore delle persone e non la loro l’età.
Qual è il suo giudizio sui movimenti nati a partire dagli anni Novanta (no global, indignati, centri sociali), che hanno dimostrato di saper stimolare la partecipazione della gente, ma anche scarsa capacità di dare continuità all’azione politica?
Voglio molto bene ai ragazzi dei centri sociali, ai no global e a tutti gli altri. Ma se non si organizzano, non si mettono assieme e non riescono a raccogliere attorno a sé anche parte dei loro genitori, non combineranno mai nulla. Rifiutano ogni forma di organizzazione perché dal loro punto di vista ciò vorrebbe dire fare un partito, con tutte le sue sordità. Io dico loro che ci si può organizzare anche senza essere sordi. Abbattere il capitalismo o anche solo metterlo in difficoltà è un’impresa enorme: non sono i piccoli gruppi che possono farlo. La debolezza e la fragilità sono il peggio per il proletariato. Mi colpisce l’assenza di solidarietà internazionale nel movimento sindacale europeo, quando ci sono delle lotte operaie importanti per esempio nel settore dell’automobile in Francia e in Italia: i problemi e il padrone sono gli stessi, ma non ci si sa unire.
Pericoloso in un mondo globalizzato...
Invece che i proletari di tutto il mondo, quelli che si sono uniti sono i padroni. Il proletariato si divide: una pazzia.
Che cosa significa per lei essere comunista oggi?
Significa voler abbattere il capitalismo, avere una visione del mondo solidale e giusta e una morale dell’uguaglianza. C’è secondo me un collegamento tra il comunismo e la Rivoluzione francese con i suoi valori di libertà, uguaglianza e fraternità. Oggi parliamo di democrazia, ma non abbiamo né libertà, né grande fraternità né un’uguaglianza concreta. Non è vero che le persone nascono tutte uguali. Al contrario nascono con profonde differenze, a dipendenza dell’educazione, della cultura e delle condizioni concrete di vita.
In che cosa spera come “vecchia comunista”?
La mia non è una speranza allegra. Spero che le condizioni spaventose in cui versa l’Europa (ormai siamo già a oltre 18 milioni di disoccupati) induca i dirigenti europei a fermare la folle corsa verso la rovina economica e sociale.  Detto questo, resto convinta che più dell’oppressione aiuta la speranza: quando il lavoratore sente che può spuntarla ha più coraggio di quando si sente oppresso; quando si sente oppresso si ribella solo in ultima istanza e troppo tardi, come dimostrano le sconfitte che fanno la storia della classe operaia.

 

 

Rossana Rossanda


Nata nel 1924, Rossana Rossanda partecipa, giovanissima, alla Resistenza come partigiana; nel 1943 aderisce al Partito comunista italiano (Pci) di cui diviene dirigente negli anni ‘50 e ‘60: Palmiro Togliatti la nomina responsabile della politica culturale e nel 1963 è eletta alla Camera dei deputati. Mossa dall’esigenza di elaborare la crisi del socialismo reale e sull’onda dei movimenti studentesco e operaio, fonda Il Manifesto, gruppo politico e rivista (quotidiano dal 1971) che assume posizioni in contrasto con la linea del Pci, in particolare rispetto all’invasione sovietica in Cecoslovacchia. Nel 1969 viene radiata dal partito. A partire dalla metà degli anni ‘70 si dedica principalmente al giornalismo e alla letteratura, senza però abbandonare il dibattito politico e la riflessione sul movimento operaio. Fino al novembre 2012, data in cui lascia il  “suo” giornale a causa del forte dissenso con il gruppo redazionale.

Pubblicato il

02.05.2013 11:39
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