Turisti dello shopping e della democrazia

Il Consiglio federale sembra intenzionato a compiere nuovi passi verso la liberalizzazione del lavoro domenicale nel settore della vendita scansando "l'ostacolo" di un'eventuale votazione popolare. A suscitare questo sospetto sono le manovre in atto a Berna per allentare il divieto di impiegare personale nei giorni festivi in quei centri commerciali che soddisferebbero esigenze di carattere turistico (come i centri outlet Fox Town di Mendrisio o Alpenrhein Village di Landquart) senza passare dal Parlamento ed evitando dunque quel processo democratico che consente eventualmente il lancio di un referendum e dunque la possibilità per i cittadini di esprimersi.

Questo percorso decisionale (giudicato lesivo del principio della separazione dei poteri dello Stato da una perizia giuridica in possesso di area) il governo l'ha scelto dando il suo appoggio a una mozione del consigliere agli Stati del Partito liberale radicale (Plr) Fabio Abate. Già approvata tre giorni or sono a larga maggioranza dalla Camera dei Cantoni, essa chiede una revisione di alcuni concetti ("regioni turistiche", "bisogni specifici" e "stagioni") che servono a determinare se un commercio è da considerare "un'azienda che serve il turismo" e dunque se può rientrare tra quelli autorizzati a impiegare personale la domenica. Il problema è che questi concetti non sono enunciati nella legge sul lavoro (che solo il Parlamento può modificare) ma in un'ordinanza (vedi riquadro) che come tale viene approvata dallo stesso Consiglio federale e non sottostà a referendum facoltativo come una legge. Il divieto del lavoro domenicale subirebbe così un ennesimo allentamento per semplice decisione governativa.
La prospettiva preoccupa innanzitutto per una questione di contenuti: l'Alleanza per la domenica (un cartello di organizzazioni politiche, laiche e religiose che si batte per la difesa della festa) definisce «inquietante» la decisione del Consiglio degli Stati di avallare «un progetto che nuoce alla salute», che è «ostile alle famiglie e alle donne» e che rappresenta un «segnale fatale alla società». Ma al di là di questo, quanto sta accadendo sotto la cupola di Palazzo federale è «inaccettabile» dal punto di vista procedurale e «assai problematico in un sistema di democrazia semidiretta come quello svizzero», rincara la dose  Luca Cirigliano, giurista dell'Unione sindacale svizzera (Uss) e autore della citata perizia.
Perizia in cui si sottolinea innanzitutto che un'ordinanza «non può contraddire il diritto superiore e nemmeno introdurre nuove regolamentazioni di rilievo». Nel caso specifico, la norma della legge sul lavoro che elenca i gruppi di aziende e i tipi di lavoratori per cui è possibile derogare alle prescrizioni legali in materia di durata del lavoro e di riposo «va applicata in modo molto restrittivo». Per quanto concerne in particolare il settore del commercio al dettaglio, le eccezioni sono possibili per soddisfare bisogni di consumo di beni o servizi «necessari e indispensabili quotidianamente e la cui mancanza sarebbe considerata una grave carenza da una gran parte della popolazione», recita la legge. E anche un'interpretazione storica della  Legge sul lavoro del 1964 (che si ricava dalla lettura del messaggio che all'epoca fu presentato dal governo e dai verbali dei dibattiti parlamentari) suggerisce che il legislatore, «in una realtà sociale in cui le aperture domenicali erano un'assoluta rarità, aveva inteso il concetto di "regioni turistiche" in modo molto restrittivo ("luoghi in cui l'industria alberghiera costituisce una componente vitale per la popolazione e nei quali il turismo ha un carattere tipicamente stagionale")», rileva Cirigliano.
Con l'accettazione della mozione Abate, secondo cui lo shopping non ha più la funzione di appagare dei "bisogni specifici" ma è diventato una forma di divertimento (addirittura "un'avventura" si legge nelle motivazioni), le regioni turistiche non sono più quelle tradizionali ma degli "spazi economici funzionali" e "stagione" possono essere considerate anche quelle gastronomiche, concertistiche, della caccia eccetera, «si creano le premesse per l'introduzione generalizzata del lavoro domenicale in tutti gli "spazi economici funzionali" (leggasi centri commerciali) della Svizzera in cui è possibile fare dello shopping "per divertimento"». «È ovvio – aggiunge Cirigliano – che non è possibile fare un cambiamento di questa portata che va a intaccare le norme sulla tutela dei lavoratori con una semplice modifica dell'ordinanza. Questo anche alla luce del fatto, più di carattere politico, che nel paese il lavoro domenicale è assai controverso e diversi tentativi di estenderlo sono falliti (o sono stati accolti di misura) nelle numerose votazioni popolari tenutesi negli ultimi 15-16 anni a livello federale e cantonale».
Se il Consiglio federale porterà a termine il suo disegno, quando verrà concessa la prima autorizzazione a impiegare personale di domenica in una determinata regione economica, l'Uss farà valere davanti al competente tribunale l'assenza di una base legale sufficiente. «Sono convinto – conclude Cirigliano – che otterremmo ragione, anche se devo ammettere che Abate è stato molto furbo, perché ha saputo individuare gli spazi giusti per provare a imporre il cambiamento evitando il referendum».


Abate: «se serve una legge la si faccia»

«Io ho aperto le porte di un locale e ora tocca al Consiglio federale decidere quali mobili metterci dentro e come disporli». Il senatore ticinese Fabio Abate, da noi contattato, ricorre a una metafora per dire che non ci sta a passare per quello che vuole aggirare le regole della democrazia. «Con la mia mozione ho posto un problema che riguarda l'industria turistica elvetica e che ha origine nelle definizioni ormai superate di alcuni concetti contemplati nell'ordinanza di cui si parla. Questo è l'unico motivo per cui quest'ultima è menzionata nel mio atto parlamentare».
Senatore Abate, ma non si è posto degli interrogativi di fronte ai limiti "democratici" e di carattere procedurale della sua proposta che vengono contestati dalla perizia giuridica dell'Uss?
Certo che mi li sono posti. Tant'è che nella mozione ho scritto esplicitamente (e durante il dibattito in aula l'ho ripetuto) che i principi sulla protezione dei lavoratori contenuti nella Legge sul lavoro vanno salvaguardati. Non è pensabile che un tentativo di risolvere un problema strutturale dell'industria turistica generi un conflitto sociale. Si tratta di trovare una soluzione equilibrata. La perizia dell'Uss non la conosco, ma mi pare che sollevi una serie di aspetti problematici senza ancora conoscere la soluzione che sarà proposta dal Consiglio federale.
Si sa che il Consiglio federale è orientato a intervenire a livello di ordinanza e che lo potrebbe fare nel pieno di una campagna referendaria contro un progetto affine (l'estensione degli orari di apertura dei negozi annessi alle stazioni benzina). Qualche problema di carattere democratico e procedurale si pone...
Questo dipende dal Consiglio federale. A ognuno il suo compito. In ogni caso immagino che la modifica dell'ordinanza che sarà proposta fisserà dei criteri piuttosto restrittivi. Non ci si deve immaginare che domani in Svizzera tutti i commerci saranno considerati turistici.
Che impatto pensa possa avere concretamente la messa in pratica della sua proposta?
Con la mia mozione voglio semplicemente far capire che i tre concetti di "regioni turistiche", "bisogni specifici" e "stagione" oggi vengono interpretati in un modo che non tiene sufficiente conto delle esigenze turistiche. Sono comunque consapevole che dovranno essere poste condizioni severe e molto chiare, che non lascino spazio a tentativi di aggiramento della legge.
Per esempio?
Per esempio il dovere per un commerciante di dimostrare che una parte importante della cifra d'affari deriva effettivamente dal turismo. Non è che un giorno tutti quelli che vorranno vendere qualcosa di domenica potranno inventarsi un'offerta turistica. Occorre essere realisti e semmai attendere il risultato delle discussioni.
Dal profilo democratico non sarebbe stato comunque meglio provare a cambiare le cose nella legge e dunque dando al popolo la possibilità eventualmente di esprimersi con una votazione?
Se dalle discussioni che il Consiglio federale organizzerà con le varie parti dovessero risultare necessarie delle modifiche di legge per salvaguardare il processo decisionale democratico, io lo accetterei senza problemi.

Pubblicato il

07.12.2012 01:30
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