La mano invisibile

Può ormai apparire superfluo o eccessivo o persino presuntuoso aggiungere ancora qualcosa a quanto si è già scritto e commentato sull’esito delle elezioni federali-cantonali. Eppure c’è qualcosa che rimane lì, come una lisca di pesce in gola, e chiede di essere tolta, quasi a mo’ di spiegazione con sé stesso; non tanto per il risultato di questo o quel partito cui particolarmente tenevi, ma per la innegabile contrapposizione in cui ci si trova tra la realtà e la risposta “politica” che si vuol dare a quella realtà.


E allora appare un fattore che si ignora o si sottovaluta. È un fattore che, con una parolona, si definisce “sistemico”. In parole povere: è qualcosa strettamente legato al modo di vivere, di sentire, di reagire al mondo (al sistema) in cui ci troviamo e siamo immersi. Ed è una sorta di svuotamento “politico” della democrazia o della democrazia costretta sempre più spesso a tradursi in “urgenza” (com’è il caso quando si tratta di salvare una grossa banca che non può fallire) oppure, che è peggio, in una periodica pantomima della realtà. Con due conseguenze ormai sotto gli occhi di tutti e nei risultati: ci sono partiti che ne approfittano e crescono; altri che, imprigionati in sé stessi o dalla loro stessa coerenza ideale o propositiva, ne patiscono grandemente o non riescono a recitare o anche ingannare e ci perdono.


Potremmo tradurre tutto in un semplice paradigma? Un nostro filosofo, in una sua valutazione universale, ha sintetizzato tempo fa il tutto con le parole: malus, modi e mondi indecenti. Traduciamo, semplificando e localizzando: di fronte al problema, esistenziale (malus), innegabile, che si pone (supponiamo l’ingiustizia crescente oppure il clima sempre più distruttivo) si sceglie una riduzione sistematica del cittadino ad una sola dimensione, quella individualistica ed egoistica (e quindi i modi e mondi indecenti).


Il bene comune, che dovrebbe essere il fine della Politica (con la P maiuscola) cessa allora di essere indicato e quindi perseguibile attraverso l’azione collettiva; sarà invece considerato solo attraverso la lente di indicazioni o deformazioni di realtà parziali, di negazioni di conseguenze evidenti, seguite immancabilmente da dichiarazioni o slogan costruiti su misura. Da cui devono emergere, sia la grave minaccia per il singolo interesse personale e perlopiù egoistico; sia il cedimento di quella situazione (identità nazionalistica) divenuta sinonimo di sicurezza e unicità mondiale; sia la delegittimazione di un’intrusione dello Stato con la pretesa di difendere dei diritti, di indicare dei traguardi con i costi e possibili sacrifici che comportano, di stabilire quindi degli obblighi, sempre intesi come avversione e demolizione delle libertà individuali.


La conclusione, da un punto di vista elettorale, è pressoché scontata: è penalizzato chi è realista, chi non deforma la realtà con la paura, ma tenta di rispondere alle difficoltà e di costruire degli argini allo sgretolamento, chi è ragionevolmente e politicamente coerente con sé stesso e con gli altri per il raggiungimento del bene comune.


Ciò che fa veramente paura, allora, è l’irrazionalità che emerge tra la realtà e il modo, indicato dalla urne, con cui si ritiene di dovere e potere fra fronte a quella realtà. Che, lo si voglia o no, sarà comunque dirompente.

Pubblicato il 

26.10.23
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