La mano invisibile

Eccoti un nuovo termine pescato nella finanza: kezakò. Frequente, a quanto pare. Deriverebbe da: qu’ès aco? Espressione spesso usata dal famoso personaggio di Daudet, Tartarin di Tarascona, quando è svegliato di soprassalto: che c’è, che succede? Un modo per chiedere una spiegazione quando si è perso il senso di qualcosa.


Ci sono anche partiti, sempre pronti a cavalcare il peggio (interessi, egoismo più sfrenato, stupidità) che l’hanno adottato per dirci, in sostanza, che il problema climatico è innanzitutto terrorismo ideologico, proibizionismo, statalismo della solita sinistra. E così perdita economica e del benessere per tutti.


Partiamo da un dato certo. I governi del G20 (i venti paesi ricchi, alle cui riunioni è invitata anche la Svizzera) hanno ancora investito in un anno, stando ai dati da poco pubblicati dall’Istituto internazionale dello sviluppo sostenibile, la somma astronomica di 1.400 miliardi di dollari per sostenere lo sviluppo dell’industria fossile (idrocarburi, carbone), una delle principali cause del problema climatico, nonostante si sostenga,  anche in quella sede, che “l’abbandono progressivo delle energie fossili è ineluttabile” se si vuol salvare il pianeta e... l’economia.


Immaginiamoci che una banca o un fondo di investimento abbiano dunque ancora sufficiente fiducia nell’avvenire dell’energia fossile per investirvi soldi, con la ovvia speranza di trarne guadagno. Immaginiamoci che, costretti dalla realtà spesso drammatica o dalla maggior coscienza che si sta sviluppando nella popolazione, gli Stati adottino qualche regola, qualche proibizione, un maggior costo del carbonio (tassa con lo scopo di ridurre il  CO₂): tutto ciò scalfisce la redditività degli investimenti nelle industrie fossili, petrolifere, e non solo.


I finanzieri, gli investitori, parlano allora di “stranded asset”, di “attivi imbrigliati”, cioè di titoli il cui valore si svaluta a causa di una legislazione, di costrizioni ambientali, della cosiddetta transizione energetica o persino di una innovazione che annienta tutte le tecnologie precedenti rendendole superate. Ed ecco che spunta il kezakò. Tradotto: “Disgraziati, state generando delle perdite e delle miserie con il vostro mondo più verde”! E infatti, un grande pensatoio (il think tank Carbon Tracker) valuta a 1.000 miliardi di dollari il valore di attivi legati al portafoglio petrolio-gas il cui valore rischia di evaporare. Il mondo economico-finanziario (e parte di quello politico, come l’Udc in Svizzera) agita allora presso i piccoli risparmiatori o su coloro che dipendono dai fondi pensione, lo spettro della crisi se... si esagera con il clima. Difficile sottrarsi a questa perversione della logica che antepone i rischi della finanza (estendendoli al benessere di tutti) a quelli della sopravvivenza del pianeta e dell’umanità.


È però intervenuto, negli scorsi giorni, con abbondante documentazione, uno studio di vari economisti (del laboratorio delle ineguaglianze mondiali, Wid) che rileva una verità che si deve dire. In breve: gli attivi “imbrigliati” appartengono, in realtà, e per la maggior parte, a seconda degli Stati, dal 9 all’1 per cento della popolazione più ricca. Le perdite risulterebbero una parte quasi insignificante rispetto al reddito dei più ricchi, in media poco più del 2 per cento della loro ricchezza totale. Le perdite indirette che colpirebbero i meno ricchi (valutate in 9 miliardi di dollari per l’Europa, che è quanto la Svizzera è pronta a sborsare per salvare una sola banca) potrebbero essere compensate dal potere pubblico con una modesta tassa progressiva sul patrimonio dello 0,005 per cento. Kezakò, quindi, per la terra e l’umanità.

Pubblicato il 

31.08.23
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