Accettato lo scorso mese di dicembre dall’Assemblea federale dopo quattordici anni di dibattiti, il cosiddetto finanziamento uniforme delle prestazioni ambulatoriali e stazionarie (EFAS) è contrastato da un referendum. In prima fila tra i contrari vi sono i sindacati secondo cui la riforma rappresenta una grave minaccia per il sistema sanitario e conferisce troppo potere alle casse malati. Vediamo il perché.

 

Ci sono in politica, come nella vita, cose che hanno meno appeal di altre, ma che non per questo sono meno importanti. L’ormai famigerato decreto Morisoli non suscitò molto interesse quando, nel maggio 2022, è stato accettato dal 56,9% del 38,3% degli aventi diritto di voto ticinesi. Oggi tutti quanti in Ticino siamo toccati nel concreto da questa scelta nefasta, dovuta anche all’incapacità della sinistra di mobilitare l’elettorato in quell’occasione. Un errore da non ripetere, ad esempio, con la raccolta di firme in corso contro l’ultima revisione della LAMal, la legge che regola il funzionamento delle assicurazioni malattia.

 

L’ostico oggetto del contendere ha preso il nome di EFAS, acronimo tedesco di Einheitliche Finanzierung Ambulant/Stationär che in italiano è tradotto con “finanziamento uniforme delle prestazioni ambulatoriali e stazionarie”. EFAS è una sigla che sembra quella di un programma spaziale e che per questo uno può anche spaventarsi e decidere di girarsi dall’altra parte. Ma così commetterebbe un errore. La posta in gioco con la riforma è in effetti molto alta e riguarda tutta la cittadinanza: se approvato, EFAS rischia di dare ancora più potere alle casse malati oltre a contribuire a un peggioramento della qualità delle cure e a degradare ulteriormente le condizioni di lavoro degli operatori sanitari. Per questo i sindacati, tra cui Unia e il sindacato dei servizi pubblici VPOD (a cui spetta il coordinamento) hanno deciso di lanciare un referendum. La raccolta di firme è in corso (qui trovate l’apposito formulario). Ma vediamo di capire di che cosa si tratta.

 

Problemi strutturali e aumento dei premi

Il tema della riforma ha origine in uno dei grandi problemi strutturali con cui è nata la LAMal: la differenza del finanziamento tra le prestazioni che vengono eseguite in regime stazionario (con il paziente degente in ospedale o in clinica) o in regime ambulatoriale. Oggi, i costi del regime stazionario sono coperti al 55% dai Cantoni e il restante 45% dalle casse malati. Queste ultime invece si accollano i costi di tutte le prestazioni avvenute in regime ambulatoriale.

Le pressioni al risparmio dei Cantoni, ma anche l’evoluzione della medicina moderna, hanno spinto i medici a fare in modo di svolgere il più gran numero di prestazioni prima e dopo il ricovero. Il settore ambulatoriale, coperto per intero dalle casse malati, è quindi in continua espansione. Una tendenza, questa, che è una delle ragioni principali dell’indecente aumento dei premi delle casse malati. In effetti questo spostamento dal regime stazionario a quello ambulatoriale ha fatto in modo che i premi siano aumentati più che i costi. Le casse malati sono infatti chiamate più spesso a pagare, anche se il numero di prestazioni rimane il medesimo.

 

Una proposta che arriva dalle lobby

 Nel 2009, la consigliera nazionale Ruth Humbel (PPD, oggi il Centro, Argovia) ha presentato una mozione dal titolo “Finanziamento delle prestazioni della salute da parte di un unico soggetto. Introduzione di un sistema di finanziamento monistico”. È l’inizio del processo parlamentare che, quattordici anni dopo, ha portato all’introduzione di EFAS. Se citiamo Ruth Humbel non è un caso. L’argoviese è stata una delle più importanti voci in Parlamento della potente lobby delle assicurazioni malattia. Tra il 2001 e il 2008 è stata responsabile della Regione Svizzera Centrale di Santésuisse, associazione mantello degli assicuratori. La donna aveva anche un legame d’interesse con il Groupe Mutuel per poi passare, nel 2014, nel Cda di un altro gigante assicurativo: Concordia. Ruth Humbel nei vent’anni in cui è stata in Consiglio nazionale si è distinta per il suo impegno politico a favore delle casse al punto che si è guadagnata l’appellativo di “Regina delle lobby”.

 

Una nuova chiave di ripartizione

A seguito della mozione Humbel del 2009, il Parlamento ha cercato di equilibrare la chiave di ripartizione della copertura dei costi. Per farlo ci sono voluti 14 anni di discussioni. Il succo della riforma, votata dal Parlamento a fine 2023, è quello che in futuro vi sarà la stessa chiave di finanziamento per tutte le prestazioni mediche. È il cosiddetto “monismo”. I cantoni hanno ottenuto una riduzione della loro partecipazione finanziaria al settore delle cure stazionarie e delle cure per lungodegenti (case anziani e servizi di assistenza e cura a domicilio), ma in compenso parteciperanno ai costi per le prestazioni ambulatoriali.

 

La nuova chiave di ripartizione è la seguente: i cantoni pagheranno il 26,9% del totale delle spese sanitarie obbligatorie per le prestazioni della LAMal mentre le casse malati si accolleranno il 73,1% delle cure. Gli assicuratori hanno cercato di escludere l’assistenza per lungodegenza da questa revisione, ma il Parlamento ha scelto di integrarle in EFAS sette anni dopo l’inizio del finanziamento monista.

 

Sempre più potere alle casse malati

A prima vista questa unica chiave di ripartizione dei costi potrebbe anche essere una buona idea. In realtà per i sindacati non è così, come spiega Samuel Burri co-responsabile del ramo delle cure di Unia: «Il passaggio dal trattamento ospedaliero a quello ambulatoriale è in generale da accogliere con favore. Ma il percorso previsto da EFAS è pericoloso poiché dà più potere alle compagnie di assicurazione sanitaria». Il principale aspetto problematico di questa riforma è proprio questo: accrescere il potere, già oggi eccessivo, degli assicuratori malattia sul sistema sanitario svizzero.

 

Questi ultimi saranno infatti responsabili di ulteriori 11 miliardi di franchi (oltre ai 35 miliardi di premi) corrispondenti ai pagamenti finanziati dalle imposte cantonali per le spese del sistema sanitario. I Cantoni hanno dovuto infatti accettare che il timone di tutto il sistema passasse alle casse malati, mentre ora perlomeno nel settore stazionario erano loro a comandare. Nel concreto il 26,9% di quota parte pagata dai Cantoni verrà versato a un’istituzione comune che altro non è che una fondazione gestita dagli assicuratori. Le casse malati sarebbero così autorizzate a ridistribuire il denaro, anche quello finanziato dal pubblico, come meglio credono. Per i referendisti insomma EFAS «non è altro che una parziale privatizzazione dell’assicurazione di base».

 

Pressioni su chi lavora

Per Samuel Burri «l’aumento dei contributi delle assicurazioni malattia per le cure ospedaliere non significa altro che i premi pro capite (non sociali) dell’assicurazione sanitaria aumenteranno ancora di più». Per il sindacalista a pagare questa situazione saranno soprattutto il personale e di conseguenza i pazienti: «Per frenare questa ulteriore esplosione dei premi, le casse malati faranno pressione sulle tariffe delle cure. Il dumping tariffario andrà così a scapito della qualità dell’assistenza e delle condizioni di lavoro degli assistenti». Gli operatori e le operatrici sanitarie sono da anni sul filo del rasoio anche perché i risparmi e i tagli di bilancio sono stati fatti sulle loro spalle. Con EFAS, questa pressione rischia insomma di aumentare ulteriormente. Un motivo più che valido per respingere la riforma al mittente.

 

Pubblicato il 

09.02.24
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