Il porto di Genova si sta muovendo per non restare escluso dai flussi logistici mondiali. Una nuova diga foranea permetterà l’attracco delle mega-portacontainer. Una grande opera che non piace a tutti, ma che avrà un grande beneficiario: la multinazionale svizzera Mediterranean Shipping Company (Msc), numero uno al mondo del trasporto marittimo e presenza sempre più dominante anche in Liguria. È davvero necessaria questa diga per un porto dove il traffico merci stagna e dove le infrastrutture a terra sono carenti? Quale è l’impatto sulla cittadinanza e quale il potere d’influenza di Msc, dominus di una filiera logistica globale sempre più concentrata nelle sue mani? Per cercare di capirlo siamo andati a farci un giro tra container e carruggi.

 

In questa mattina d’autunno* l’attività del porto appare piuttosto blanda. Una gru scarica da una nave i container che poi le ralle ammassano sul piazzale. Tutto qui. Non vi è vero fermento. Tuttavia, la vista che abbiamo dal tetto di questo palazzo nel quartiere di Sampierdarena, oltre a mostrarci lo scalo di Genova in tutta la sua estensione – 22 km tra la zona antica e il terminal di Voltri –, è anche un’istantanea dell’attuale capitalismo globale. Quello dove a dominare è il flusso della Merce. Con la emme maiuscola in quanto divinità contemporanea, entità inafferrabile e libera di muoversi ovunque nel mondo, guidata dai nuovi timonieri della logistica.

 

Silvia Giardella, presidente del Comitato lungomare Canepa, da anni chiede invano alla Città di compensare i disagi causati dal porto e dal traffico: «Sampierdarena è un quartiere popolare, da sempre poco considerato dalle autorità. Siamo consapevoli dell’importanza del porto, ma il fatto è che non è mai stata messa in atto nessuna misura di compensazione per mitigare il suo impatto». La situazione potrebbe ora peggiorare con la realizzazione della nuova diga foranea che, entro il 2026, permetterà l’attracco anche qui di fronte alle mega-portacontainer, lunghe 400 metri. Si tratta del più grande progetto infrastrutturale in Italia, finanziato dall’ente pubblico per un costo stimato a 1,3 miliardi di euro.

 

L’opera preoccupa anche Alberto Panetta, per quasi quarant’anni dipendente per l’autorità portuale: «Mi indigna la disproporzione tra la cittadinanza che chiede misure di compensazione e le multinazionali che pretendono di utilizzare un bene pubblico – il porto – da cui trarre benefici enormi, ma senza lasciare nulla in cambio». Il suo sentimento è che la diga voglia favorire un unico grande attore: «Le grandi navi possono oggi già attraccare poco più a ponente, ai terminal di Prà e di Vado. L’unica ragione per cui le si vuole fare arrivare anche qui è quella di favorire il padrone di questa parte di porto: il Comandante Aponte».

 

Acqua, terra, aria

 

Un grattacielo di vetro blu su cui capeggiano tre grandi lettere: emme, esse, ci. Siamo a pochi passi dalla Lanterna, fuori dal quartier generale italiano del gruppo Msc. Dall’esterno osserviamo il modellino di una tra le sue 760 navi. Proviamo ad entrare, dopo che le nostre richieste di intervista in Italia sono risultate vane. Veniamo subito fermati dalla ricezione. Msc è forse la più grande multinazionale al mondo di cui si conosce meno. La famiglia proprietaria degli Aponte – patrimonio stimato 20 miliardi di franchi – è nota per essere poco loquace. La società è stata fondata dal campano Gianluigi Aponte a Ginevra, dove si era trasferito dopo il matrimonio con la figlia di un banchiere. Nata nel 1970, Msc è oggi il leader globale dei portacontainer. Il gruppo non domina solo gli oceani: Aponte, per tutti il Comandante, sta investendo una raffica di miliardi per controllare tutti gli anelli della filiera logistica mondiale: porti, navi e altri mezzi su gomma, aria e rotaia. In questi giorni, sta ultimando la scalata dei treni Italo. Un’operazione da 4 miliardi di euro a margine della quale Il Messaggero ha pubblicato il segreto finanziario meglio custodito di Svizzera: l’utile netto della holding elvetica, 36 miliardi di euro nel 2022! Sei volte Nestlé e Novartis, per dire.

 

«In passato, di fronte ad un’industria manifatturiera globalizzata che considerava il trasporto container come un servizio efficiente e sempre disponibile ad un prezzo irrisorio, i grandi armatori hanno dovuto ridurre i costi operando attraverso economie di scala. Ciò ha significato navi sempre più grandi e concentrazione del mercato». Gian Enzo Duci è stato presidente degli agenti marittimi italiani ed insegna management marittimo e portuale all’Università di Genova. Ci accoglie negli uffici dell’impresa che dirige in centro città e ci spiega cosa è avvenuto con la pandemia: «Si è assistito all’esplosione dei noli marittimi, ossia il costo per occupare uno spazio sulla nave. Ciò ha permesso ai pochi armatori globali rimasti di guadagnare diversi miliardi di dollari. Soldi che sono poi stati investiti verticalizzando la filiera logistica alla ricerca di nuove nicchie di guadagno». Questa situazione globale si amplifica particolarmente a Genova dove i grandi attori del settore – su tutti Msc – sono sempre più presenti. Primo porto italiano, quello ligure guarda con attenzione anche al mercato svizzero. Anche perché, come ci spiega Duci, «scaricare la merce in Liguria significa quasi una settimana di meno di navigazione rispetto a passare via Rotterdam». Il problema è semmai a terra dove «le connessioni intermodali, soprattutto ferroviarie, sono assolutamente insufficienti».

 

Nell’attesa di realizzare il cosiddetto “Terzo valico” – la nuova linea ferroviaria che collegherà Liguria e Pianura Padana – il solo collegamento su rotaia diretto verso nord è gestito dal gruppo singaporiano Psa Port of Singapore Authority): «Dal nostro terminal di Prà, il più importante scalo container italiano, partono alcuni convogli settimanali fino a Basilea» ci spiega Marco Conforti, Ceo per l’Italia di quello che è il più grande terminalista al mondo. Lo incontriamo in una storica pasticceria tra i carruggi. Affabile, ha ritagliato un’ora dalla sua fitta agenda per parlare con noi. Inizialmente di montagna, poi si arriva al sodo: «Occorrerebbe riflettere sul futuro del porto di Genova nella sua interezza, ma ho dei dubbi sulle capacità delle autorità di portare avanti una visione a lungo termine. D’accordo la diga, già in esecuzione e il cui impatto per noi è tutto sommato marginale, ma quello che mi preoccupa di più sono i collegamenti». Per Conforti, soltanto un’efficace rete di trasporti può permettere a Genova di essere più competitiva per mercati come quello svizzero. A contare non è tanto la capacità di attrarre nuovi container: «Quelli li possiamo già movimentare noi» conclude il manager.

 

Si prendono tutto gli svizzeri

 

All’uscita della stazione sorge il monumento di Cristoforo Colombo. In fondo, in questa storia, è lui che ha aperto la strada. Qui abbiamo appuntamento con Riccardo Degl’Innocenti. Non rappresenta niente e nessuno, ma a Genova in molti ci hanno dato lo stesso consiglio: parlate con Riccardo. Degl’Innocenti passa il tempo a studiare navi, rotte, flussi commerciali. Per lui il progetto della nuova diga nasce da un errore di fondo: «Si è rivolto lo sguardo al mare e non alla terra, ovvero si sono contate le navi e non le merci. A Genova, la movimentazione dei container è stagnante perché l’economia italiana di riferimento non tira più».

 

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Per l’esperto, l’opera pubblica favorirebbe gli interessi privati di Msc: «Il beneficiario pressoché unico del progetto è terminal Bettolo, finanziato con fondi pubblici e oggi in concessione a Msc. Qui le sue mega-navi non arrivano, ma queste possono già scalare nei terminal a ponente che, però, non sono suoi. Ecco che la diga le renderebbe grande servizio». Sotto la Lanterna, la presenza del gruppo elvetico è sempre più ingombrante: «Direttamente o attraverso partecipazioni, Msc possiede tutto, dalle portacontainer alle crociere, dai traghetti ai rimorchiatori, fino ai terminal. È un oligopolio che suscita preoccupazione».

 

Per saperne di più abbiamo voluto chiedere un parere alle autorità cittadine. Il sindaco di centro-destra Marco Bucci è a Londra a parlare di portualità. Nella sala della giunta ci accoglie così Francesco Maresca, assessore al Patrimonio, Mare, Porto e Pesca. Il quale ci spiega le peculiarità di uno scalo «eclettico e in pieno fermento» e promuove il progetto diga «che permetterà di fare entrare nel nostro porto le navi più grandi». Non si tratta di un grande regalo a Msc?, chiediamo: «Assolutamente no, è un’opera necessaria, un progetto di politica industriale che la città aspetta da tempo e che si deve fare al di là degli operatori». L’impressione è che Maresca non abbia vero potere risolutivo. A prendere le decisioni sono altri, altrove. A Ginevra, per esempio, dove nel 2017 sono volati in una sorta di pellegrinaggio il presidente del porto, il sindaco e il presidente della regione Liguria, Giovanni Toti. Obiettivo del viaggio: incontrare il Comandante e discutere della nuova diga.

 

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Msc è azionista maggioritaria in 42 terminal portuali al mondo e presente nei maggiori scali italiani. I porti della Penisola sono di proprietà del demanio, il quale dà in concessione le banchine a privati in cambio di contropartite molto basse. Per ottenere queste concessioni occorre avere strette relazioni con il potere. Non è un caso se, in Liguria, Msc e lo storico armatore Messina (dal 2019 detenuto al 49% da Aponte) hanno finanziato la campagna del presidente della regione Toti. E non è nemmeno un caso se il gruppo ha assunto come lobbista Luigi Merlo, presidente del porto proprio nel periodo in cui la stessa Msc è andata radicandosi sotto la Lanterna.

 

Esternalità negative

 

«Quando venne battezzata una delle navi da crociera della sua flotta fui invitato ed ebbi il piacere di cenare insieme a lui. Poi ho avuto rapporti più stretti nel merito di questioni portuali con alcuni dei suoi massimi dirigenti». A parlare è Marco Doria, ex sindaco di Genova per il centro-sinistra tra il 2012 e il 2017. Oggi insegna storia economica all’università e studia con particolare attenzione l’industria portuale. Ci riceve in ateneo nei vecchi magazzini del porto, a pochi passi dal mare, e dispone sul tavolo alcuni grafici: «Le cifre mostrano una relativa stagnazione dei traffici in porto negli ultimi anni. Ciò è sicuramente dovuto al fatto che l’economia italiana non cresce». Il professore racconta che a Genova fu costruito il primo terminal container del Mediterraneo, nel 1969. Poi, mentre il contenitore divenne uno dei timoni della globalizzazione, Genova perse un po’ la rotta: «Negli ultimi anni ci sono stati degli sviluppi importanti con la creazione di nuovi terminal e l’arrivo dei principali attori internazionali e di navi sempre più grandi». Il professore non si sbilancia sulla nuova diga. S’interroga però su come sarà il futuro del porto nel contesto di questo gigantismo navale guidato da Msc: «I grandi armatori hanno tutti i vantaggi ad avere navi sempre più grandi. Vi è però un rovescio della medaglia, che è quello che paga la comunità: per il fatto che sono le casse pubbliche a finanziare buona parte delle opere a terra e per i problemi d’impatto, ambientali e sul territorio, che la corsa alle mega-navi comporta».

 

Aggirarsi attorno al porto oggi significa essere soffocati dal traffico dei camion che trasportano buona parte dei container che da qui transitano. Le autorità politiche e portuali si sono spese per far percepire la realizzazione della nuova diga come la svolta decisiva per il futuro di Genova e dell’Italia. Il progetto è però contestato per l’impatto ambientale che avrà non solo sulla città, ma anche sui fondali marini. Ce lo ha spiegato Maurizio Wurtz, biologo marino e professore universitario in pensione, che abbiamo incontrato nel suo atelier di Cogoleto dove produce cetacei in vetroresina destinati ai musei: «La diga rischia di avere un grande impatto ambientale, interferendo con funzioni fondamentali dell’ecosistema dell’intero Mediterraneo» ci ha detto mentre mostrava tutta una serie di carte. Per l’esperto, «il mare non è stato considerato come ecosistema, ma solo come strada per i grandi traffici oceanici».

 

Una strada anche per le sempre più invasive navi da crociera. Mentre riflettiamo su tutte le questioni per le quali non abbiamo ancora risposta passiamo di fianco a due gigantesche navi divertimento targate Msc. Ne arrivano sempre di più. Pochi giorni fa è stato infranto un record: quattro navi da crociera in un giorno, con ventiduemila persone sbarcate per poche ore in città. Torniamo a casa con tanti dubbi. Ha senso favorire questo gigantismo a vantaggio di un gruppo la cui cassaforte finanziaria sta in Svizzera? Le grandi navi cargo e passeggeri, inquinanti e battenti spesso bandiere di comodo, porteranno davvero i benefici sperati? E basterà una nuova diga a risollevare una città ancora segnata dal crollo del ponte Morandi? Non sta a noi dirlo. Certo è che la grande opera continuerà a far discutere. Anche perché già oggetto delle attenzioni dell’Anac, l’agenzia anticorruzione, per gli appalti irregolari rilasciati ai costruttori. Oltre a Msc, gli altri grandi beneficiari dell’opera sono infatti gli onnipresenti giganti del cemento.

 

*Il reportage è stato realizzato nel novembre 2023 ed è stato pubblicato sul numero 17/2023 dell'edizione cartacea di area

Pubblicato il 

19.02.24
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