Torna spesso il discorso sulla produttività. Si dice, in particolar modo in Ticino, che la produttività cala, è insufficiente. Alle volte si rischia di colpevolizzarne il lavoratore. Si dimentica sempre il “management” (o il modo di conduzione di un’azienda)
Un’impresa per produrre fa capo a diversi fattori: la manodopera, i macchinari, gli edifici, l’energia. Per misurare l’efficienza di questi fattori si valuterà (per dirla in termini semplici) quanto siano essi necessari per la produzione finale. Abbiamo in tal modo un rapporto che definiamo produttività o produttività del fattore considerato (ad esempio: quanto lavoro per ottenere quel prodotto o sevizio). Si dirà allora (Ufficio federale di statistica) che quello della produttività “è un indicatore fondamentale per la politica economica” o che “la crescita dei salari è spesso associata agli aumenti di produttività”.
Sull’arco di dieci anni l’economia svizzera è cresciuta in media dell’1 per cento all’anno (aumento del prodotto interno lordo); quella del Ticino meno, dello 0.6 per cento. Succede il contrario per l’effettivo del personale occupato nelle aziende: mentre in Svizzera quell’effettivo cresce annualmente dell’1 per cento, in Ticino il tasso di crescita annuale dell’effettivo delle aziende raggiunge il 2,5 per cento. Osservazione e conclusione ovvie: mentre su dieci anni, in Svizzera, la produttività del lavoro è costante (stesso aumento di crescita con lo stesso aumento di effettivi); in Ticino la produttività diminuisce di quasi il 2 per cento (aumento degli effettivi occupati e minore crescita). Si cercano le varie cause possibili di questa differenza: l’una è certamente quella di puntare più sulla manodopera, a miglior “mercato” (frontalieri) che sul capitale (investimenti in macchinari, automazione); un’altra è il tipo stesso di struttura dell’economia (con l’importanza del settore commerciale o di settori dei servizi alla popolazione, come nel sanitario) o ancora la flessione avvenuta in altri settori (come quello bancario, di per sé altamente produttivo).


C’è però un’altra causa che non si valuta mai. Ce la suggeriscono alcuni studi e ricerche fatte in 35 mila imprese in 35 paesi (John Van Reenen della London School of Economics e Raffaella Sadun della Harvard Business School’s). Limitiamoci a una conclusione importante: “Le sole pratiche di management (o, se si preferisce, di conduzione aziendale) costituiscono il 20 per cento della effettiva differenza di produttività nelle aziende”. Perché? In sintesi: mancanza di comunicazione, costrizioni importanti e ingiustificabili nei confronti dei salariati e sistemi di retribuzione (salari) o ricompensa inadeguati, pressioni continue per adempiere un compito in tempi serrati, cambiamenti frequenti di insediamenti o di orientamento, mancanza di coordinamento, indecisione e incompetenza dei managers.
Con due considerazioni finali: le aziende che si sviluppano e durano hanno un “management” soddisfacente sul piano umano, che sa conciliare l’economico con il sociale”; “i soli sistemi contabili e finanziari non rendono attenti sulle conseguenze umane di un cattivo “management” nel momento stesso in cui si producono e che subito si ripercuotono sulla vita dell’azienda. E un calcolo pratico: risulta che un franco speso in qualità del “management” ne procura, in media, quattro per maggiore produttività”. È perlomeno un invito a considerare anche tutto questo.

 

Pubblicato il 

02.02.24
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