La mano invisibile

Ogni anno, in questo mese − con i registri della storia e del racconto religiosi, della memoria della comunità in cui viviamo e di quella familiare in cui siamo cresciuti, della liturgia nelle chiese o del mercato superindaffarato − il cristianesimo propone alla nostra “cultura” il richiamo alla nascita o il tempo della rinascita.


Riappare allora alla mente, quasi in controcanto, uno dei versi di Pablo Neruda, che, senza enfasi, allude a un nostro compito essenziale: “È per rinascere che siamo nati”. Versi che forse vogliono anche sottrarci a quella sorta di incantazione o ingenuità nutrita dai buoni sentimenti con cui cerchiamo di interpretare la bontà, la fratellanza, la serenità, la pace.
Tutta la storia, quella che ritroviamo sui nostri testi, si è separata in un prima e dopo Cristo. E persino gli anni che segnano dovunque la legalità di contratti e titoli indicano di fatto, senza accorgersene, gli anni del “post Christum natum”.


È vero, venire alla luce in una grotta, l’evento che il cristianesimo celebra il 25 dicembre, era già noto al mondo orientale e greco-romano che in quella data festeggiava la nascita di Mitra, il dio della luce celeste, garante dei giuramenti, custode della verità. Anche il culto di Mitra ebbe grotte e non templi. Dall’oscurità della terra alla luminosità del cielo, il simbolo di Mitra e di Cristo. Ma è solo il simbolo di ogni uomo che per nascere deve “venire alla luce”.


Si è però anche scritto che con quella lacerazione della Storia non solo ci si è separati dalle mitologie primitive che leggevano il tempo a partire dal passato, da un paradiso perduto, ma ci si è proiettati verso un possibile futuro al quale si agganciano sia l’utopia sia la rivoluzione. Potrà sembrare strano, fuori posto o eccessivo questo rilievo. Ma è così, può essere solo così se si leggono i vangeli: utopia e rivoluzione sono eventi cristiani e credono che la storia, che è tempo, abbia un senso.


Se è e dovrebbe essere così, il Natale non è quindi nato per allestire i buoni sentimenti, quasi fossero decorazioni o giocose luminarie. Credenti o non credenti, si è immersi in questa festa e la sua “risonanza” è molto più forte di quella lasciata da una confezione di buoni sentimenti (come dice un filosofo-sociologo tedesco, Hartmut Rosa, in un libro da poco uscito che porta un titolo emblematico e provocatorio: Demokratie braucht Religion, la democrazia ha bisogno della religione).


È l’impronta dell’uomo, della sua storia, guardati da un punto di vista molto esigente, quello appunto del “nascere non basta, è per rinascere che siamo nati e chiamati”. Dovremmo essere sedotti da questo modello di temporalità, utopica o rivoluzionaria, perché è quanto manca alla Politica e dunque alla stessa Economia. Manca, insomma, l’atmosfera della rinascita, l’entusiasmo di ciò che è ancora in grado di promettere il futuro, la promessa del tempo.


E allora si può almeno aggiungere, benché possa sembrare riduttivo, approfittando dell’immersione nell’atmosfera particolare di questo periodo, che bisogna ritrovare il valore del tempo condiviso, al di fuori da ogni attività mercantile e da ogni altra costrizione totalitaria. Il tempo della conversazione, della musica, della lettura, del pasto in comune, dello spettacolo, del diventare sé stesso. Ed è spesso anche meravigliandosi del tempo dell’altro che si dà senso al proprio.

Pubblicato il 

14.12.23
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