Quando le nonne si preoccupano del mondo che lasceranno alle nipoti. Si potrebbe riassumere così lo spirito con cui l’associazione svizzera “Anziane per il clima” ha avviato una vertenza legale, rivelatasi vittoriosa, alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). (qui trovate la sentenza integrale in francese).

 

Nella sentenza comunicata ieri, 9 aprile, la Corte ha condannato la Svizzera per non aver intrapreso misure sufficienti per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Così facendo, le autorità elvetiche hanno violato il diritto alla vita e alla salute delle donne ricorrenti, sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. A scanso di equivoci “eurofobici”, si precisa che la CEDU non è un organismo giudiziario dell’Unione Europea (UE), ma comprende un ben più ampio spettro di nazioni, essendo 46 gli stati firmatari della Convenzione.

 

Se lo spirito delle anziane nell’inoltrare la denuncia era altruistico, poiché rivolto alle future generazioni, la motivazione giuridica delle querelanti doveva essere forzatamente più egoistica. Infatti, solo chi subisce un danno diretto ai suoi diritti fondamentali è legittimato a ricorrere alla CEDU. Come attestato dai vari rapporti e studi dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) e dell’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche (ASSM), i sempre più intensi e frequenti picchi di calore dovuti al cambiamento climatico causato dall’uomo espongono le donne anziani a gravi rischi per la loro salute. Su questo assunto, la CEDU ha stabilito che le autorità elvetiche non hanno preso le misure necessarie a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici come previsto dall’Accordo di Parigi sul clima del 2015 (COP21), esponendo così la salute delle sue cittadine a dei rischi evitabili.

 

Una sentenza storica, essendo la prima volta che la Cedu condanna uno Stato per inadempienza nella lotta al cambiamento climatico.  Una sentenza che farà scuola, obbligando la Svizzera (e di riflesso tutti i paesi firmatari della Convenzione) ad agire attivamente per contrastare il cambiamento climatico e attenuare i rischi per la salute a cui sono esposti i suoi cittadini.

 

Fra questi, anche i lavoratori. La canicola della scorsa estate aveva esposto a rischi per la salute chi doveva lavorare all’esterno. I cantoni romandi avevano imposto lo stop generalizzato dopo mezzogiorno ai lavori faticosi all’esterno per motivi di salute pubblica. L’autorità ticinese aveva invece preferito delegare la salute degli edili alla contrattazione privata tra associazioni padronali e sindacali. Non era andata benissimo.

 

Al termine di una trattativa rovente, la SSIC Ticino aveva imposto le ore 15 come fine dei lavori, contrariamente alla pavimentazione dove ci si ferma alle 13. Al sindacato non restava altro che prendere o lasciare. L’alternativa, nel diktat padronale, sarebbe stata il vuoto contrattuale nell’edilizia cantonale. Per quel che concerne la salute di tutti gli altri lavoratori attivi all’esterno, nessuna prescrizione obbligatoria.

 

Tra le poche certezze del mondo attuale vi è che il tema canicola tornerà d’attualità fra pochi mesi. Lo scorso novembre 20mila muratori avevano chiesto l’introduzione di misure urgenti nell’edilizia che li proteggessero dalle prossime temperature infernali. La richiesta, sottoscritta da un quarto degli operai edili nazionali, è stata praticamente ignorata dall’associazione padronale. Forse si potrebbe citarla in giudizio per violazione dei diritti umani. Ironia, ma non troppo.

Pubblicato il 

10.04.24
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