Processo Eternit bis

La tragedia di Casale Monferrato, con i suoi oltre 3.000 morti ammazzati dall’amianto dell’Eternit, ha un responsabile, che di nome fa Stephan Schmidheiny. Questo stabilisce l’attesa sentenza del processo Eternit bis pronunciata lo scorso 7 giugno, dopo due anni di dibattimenti, dalla Corte d’Assise di Novara, che ha inflitto al miliardario svizzero una pena di 12 anni di reclusione per omicidio colposo plurimo e aggravato per «aver commesso il fatto con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro» e «aver agito nonostante la previsione dell’evento».

 

Una condanna che conferma dunque la responsabilità penale dell’imputato, anche se il reato contestato dalla Procura di omicidio volontario (con dolo eventuale) è stato riqualificato in omicidio doloso, con la conseguenza che poco meno della metà dei 392 casi di morti per mesotelioma oggetto del processo risultano prescritti.

 

La sentenza è stata pronunciata dopo oltre 7 ore di camera di consiglio per i giudici e una lunghissima, estenuante attesa, innanzitutto per le numerose persone di Casale Monferrato che questa strage l’hanno vissuta e la vivono tuttora quotidianamente sulla loro pelle (a quasi 40 anni dalla chiusura della fabbrica, ogni settimana viene ancora diagnosticato mediamente un nuovo caso di mesotelioma) e che hanno voluto essere presenti a Novara in questa giornata storica. Ci sono naturalmente i militanti dell’Afeva, la storica Associazione familiari vittime amianto che da decenni porta avanti la durissima battaglia per la Giustizia (unitamente a quelle per la bonifica del territorio e per la ricerca sul mesotelioma) e che giunge a Novara di primo mattino.


Come per tutte le 41 udienze precedenti, nel piazzale antistante alla sede dell’Università del Piemonte orientale (la cui aula magna ha funto per due anni da aula penale) viene allestita la scena che racconta i drammi e le speranze di una comunità gravemente ferita. Ai muri vengono appese le celebri bandiere tricolore con la scritta “Eternit Giustizia”, i cartelloni con i lavori degli studenti delle scuole di Casale e lungo la ringhiera lo striscione con stampata la frase “I fazzoletti intrisi delle nostre lacrime metteranno le ali e voleranno lontano per sviluppare profonde radici di giustizia”, la stessa dipinta sul basamento del vivaio costruito all’interno del parco Eternot di Casale Monferrato, sorto sulle ceneri della fabbrica dell’Eternit. Ci sono poi le bandiere e i rappresentanti di Legambiente, di Medicina Democratica, di Cgil, Cisl e Uil e di altre organizzazioni, così come personalità che hanno fatto loro la causa delle vittime dell’amianto in Italia. Uno su tutti il professor Benedetto Terracini (93 anni e in splendida forma), epidemiologo piemontese di fama internazionale che è stato tra i primi scienziati a mobilitarsi contro l’amianto, nonché autore dei primi studi epidemiologici che hanno permesso di fare luce sul caso di Casale Monferrato, e, molti anni dopo, di farlo diventare materia per la giustizia penale. Ma ad assistere all’ultimo atto dell’Eternit bis e a solidarizzare con le donne e gli uomini di Casale erano presenti anche delegazioni provenienti dagli Stati Uniti, dalla Francia, dall’Olanda, dalla Spagna e dalla Svizzera. Oltre che numerosi operatori della stampa nazionale e internazionale.


Il momento più atteso era naturalmente quello della sentenza. E ci è voluta molta pazienza. «Non sarà una camera di consiglio breve», aveva del resto anticipato il presidente della Corte Gianfranco Pezone chiudendo in tarda mattinata, dopo le repliche di accusa e difesa, la fase della discussione e aprendo quella della deliberazione, della decisione del verdetto da parte dei giudici. Inizia così per tutti gli altri un’interminabile giornata di attesa: un po’ in aula, un po’ all’esterno del palazzo, un po’ nei ristoranti e nei bar della zona, scambiandosi sensazioni, facendo previsioni e manifestando sentimenti di speranza, ma anche di timore che ancora una volta (come successo con la sentenza della Cassazione del 2014 che annullò, per intervenuta prescrizione, la condanna a 18 anni inflitta a Schmidheiny nel primo grande processo di Torino per disastro ambientale) la Giustizia non faccia giustizia.

 

Il verdetto
Poi finalmente arriva l’ora della verità: alle 18.45 Pezone inizia la lettura del dispositivo. «In nome del popolo italiano, la Corte di Assise di Novara ha pronunciato la seguente sentenza contro Schmidheiny Stephan Ernst. Visti gli articoli…, previa riqualificazione dei fatti contestati…»: è la conferma che si tratta di una sentenza di condanna contro il miliardario svizzero che in prima persona controllava la Eternit di Casale tra il 1976 e il 1986.


Una condanna consistente in una pena di 12 anni di reclusione e nell’interdizione dai pubblici uffici per 5. Cui si aggiunge il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, cagionati alle costituite parti civili (da liquidarsi in separata sede) e la condanna al pagamento di provvisionali immediatamente esecutive (che l’imputato deve dunque pagare subito) a favore di parti lese, enti, sindacati e associazioni, per un ammontare totale di circa 90 milioni di franchi.


Stephan Schmidheiny è stato riconosciuto colpevole di omicidio colposo con le aggravanti della colpa cosciente (cioè della previsione dell’evento) e per avere agito violando delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Dunque non per omicidio volontario, come sostenuto dai pubblici ministeri Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare, che avevano chiesto la pena dell’ergastolo. La Corte di Assise di Novara ha in sostanza ritenuto che l’imputato, pur essendosi rappresentato la possibilità della realizzazione del fatto (cioè la morte di persone) abbia agito nella speranza che ciò non si verificasse. L’accusa riteneva invece che Schmidheiny, pur di non rinunciare al profitto, avesse accettato il verificarsi dei decessi.


Questa riqualifica del reato ha come conseguenza diretta che per 199 delle 392 vittime oggetto del processo, persone decedute da più di 15 anni, è scattata la ghigliottina della prescrizione. La condanna si riferisce a 147 casi di morti per mesotelioma (sia ex lavoratori che semplici cittadini), si legge nel dispositivo di sentenza, che invece assolve Schmidheiny per altre 46 vittime. Per capire le ragioni di questa distinzione bisognerà attendere le motivazioni, che dovranno essere depositate entro 90 giorni.

 

Le reazioni
«Leggeremo le motivazioni della sentenza e valuteremo come procedere. Se investire o meno il giudice di Appello», dichiara a caldo il pubblico ministero Gianfranco Colace, esprimendo comunque, al di là della riqualifica del reato («una questione molto complessa, che merita di essere approfondita», spiega), soddisfazione per la sentenza: «I giudici hanno dato un nome e un cognome al responsabile della strage di Casale Monferrato. Ora sappiamo che è l’imputato che noi abbiamo tratto a giudizio. È inoltre importante che l’imputato sia stato giudicato responsabile anche per gli omicidi ambientali, cioè di persone che non hanno mai lavorato in fabbrica ma che semplicemente vivevano a Casale. È un grande risultato per il nostro lavoro», dichiara il magistrato.
«Soddisfazione», seppur poco visibile sui loro volti, viene dichiarata anche dagli avvocati difensori di Schmidheiny. «Rispetto a una richiesta di ergastolo mi sembra che la sentenza, nonostante una pena importante come quella di 12 anni, abbia riconosciuto che non si può parlare di dolo», dichiara Astolfo Di Amato, preannunciando il sicuro ricorso in Appello. Infine, anche l’imputato, che non si è mai presentato al processo e nemmeno sottoposto ad interrogatorio, si è fatto sentire attraverso la sua portavoce Lisa Meyerhans, che ha definito la sentenza «chiaramente illegittima», «contraria al diritto», perché il Tribunale non avrebbe «tenuto conto appieno delle evidenti prove dell’innocenza di Schmidheiny», ha dichiarato all’agenzia stampa Keystone-
ATS, senza voler aggiungere ulteriori commenti, che «verrebbero utilizzati contro Schmidheiny nel prossimo processo», ha aggiunto polemicamente.

 

Bruno Pesce (Afeva): «Schmidheiny non lo capisco»

 «Il clima non era di grande ottimismo. Quindi è stata una grande soddisfazione sentire dichiarare l’imputato colpevole dalla Corte e veder respinte le argomentazioni della difesa, in particolare le teorie, sostenute anche dai loro consulenti, circa l’impossibilità di stabilire che l’amianto di Schmidheiny abbia contribuito a provocare i mesoteliomi. Teorie che avrebbero portato a lasciare tutto nell’indeterminatezza e quindi ad assolverlo. Il che sarebbe stato pazzesco perché è la scienza mondiale a dire che più l’esposizione all’amianto dura nel tempo più facilita l’insorgere della malattia». È il commento alla sentenza di Bruno Pesce, leader storico dell’Afeva da oltre quarant’anni in prima linea nelle molteplici battaglie per le vittime dell’amianto dell’Eternit di Casale Monferrato. È «un atto di giustizia», anche se macchiato dall’esclusione di molte vittime per intervenuta prescrizione e per l’incombere di questo «spettro» sui prossimi gradi di giudizio. «È un’ingiustizia, è un’anomalia che provoca una beffa per le vittime, che si vive quindi molto male», spiega Pesce. «È incredibile che il sistema consenta delle situazioni di questo tipo in un paese civile e democratico. Lo stato di diritto è anche per le vittime, non solo per gli imputati. E deve garantire giustizia laddove ci sono vittime». Di qui la necessità che «il potere legislativo e lo Stato intervengano affinché il corso della giustizia, le norme che la regolano, i mezzi che ha a disposizione e le procedure impediscano di sottostare l’affermazione della giustizia al diritto dell’imputato di farla franca anche quando è colpevole».


E in vista del già preannunciato processo d’Appello, aggiunge Pesce, «ci aspettiamo una conferma di quanto scaturito dalla Corte d’Assise, che ha acclarato la colpa. Vorremmo poi che fosse assolutamente scongiurata la ghigliottina della prescrizione, anche solo per alcuni casi. Una condanna è del resto un atto di giustizia che di riflesso riguarda tutte le vittime, perché è la stessa condotta che ha provocato la morte».


Le capita di pensare a quale sia lo stato d’animo di Schmidheiny?
Sì me lo sono domandato tante volte. Per quanto sia possibile valutare la situazione a distanza, visto che nessuno di noi l’ha mai potuto conoscere o incontrare, devo dire che non riesco a capire il suo comportamento. Perché uno che usa gli argomenti della filantropia e dello sviluppo sostenibile ha abbandonato la fabbrica piena di amianto? Perché non è mai intervenuto per bonificare o a finanziare la ricerca sul mesotelioma? Perché ci ha spiati per 21 anni? Perché ci ha provocati proponendoci una transazione collettiva per risarcire tutti in cambio della garanzia di non subire processi in Italia? Non riesco poi a capire come mai non abbia mai pensato di mettere a disposizione una parte significativa delle sue ricchezze, ottenute con il lavoro e con la morte di lavoratori e cittadini, per riscattarsi e soprattutto per riscattare una situazione terribile, deleteria nelle popolazioni in mezzo alle quali ha svolto le sue attività attraverso bonifiche, risarcimenti e ricerca. Mi piacerebbe domandarglielo.

Pubblicato il 

22.06.23

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